Con "Diamanti dal cielo" di Barbara Risoli vi presentiamo il secondo racconto breve della serie di racconti inediti dal titolo "Racconti nella calza", che gli autori recensiti durante gli scorsi mesi nella rubrica "Leggere... ci piace!" di Valseriana News ci regalano in vista dell'Epifania. Una carrellata di storie divertenti ed appassionanti che, vista la loro brevità, sono adatte anche a questi giorni post festivi dove il riposo la fa da padrone.
Con questo primo racconto breve inauguriamo la serie di racconti inediti dal titolo "Racconti nella calza" che gli autori recensiti durante gli scorsi mesi nella rubrica "Leggere... ci piace!" di Valseriana News ci regalano in vista dell'Epifania. Una carrellata di storie divertenti ed appassionanti che, vista la loro brevità, sono adatte anche a questi giorni post festivi dove il riposo la fa da padrone.
Il nome di Ali Razeghi probabilmente non dice nulla alla maggior parte dei lettori. Ancora meno il termine Aryayek. L’unico Ali conosciuto dai bambini è plausibilmente il Babà dei quaranta ladroni, mentre gli amanti della nobile arte ricordano sicuramente Cassius Clay che poi decise dalla mattina alla sera di cambiare il suo nome battesimale con uno di chiare origini arabe. Ali Razeghi è apparso sul Washington post come possibile inventore della macchina del tempo. Il panorama scientifico lo ha etichettato come seminatore di bufale, ma il buon Razeghi ha continuato a sostenere di avere già fatto viaggi spazio temporali a ritroso.
Quando nel 1929, Alexander Fleming isolò il principio base per la creazione della penicillina, l’umanità si trovava a far fronte a numerosi problemi. Le ferite del corpo e quelle dell’animo non avevano ancora trovato rimedio. La moria causata dalle infezione subì un brusco rallentamento grazie alle muffe miracolose. L’avanzata del deserto culturale invece non smise di sottrarre spazio ai terreni fertili e continuava lenta e inesorabile. Ancora oggi non è possibile curare l’animo ferito applicando il principio di Fleming. Freud aveva iniziato qualche anno prima a prendersi cura di sentimenti che parevano cani sciolti, incapaci di riconoscere il fischio del padrone e di tornare quindi a casa. Fece però più proseliti la farmacopea e ancora una volta il disastro sentimentale rimase pericolosamente in bilico sul bordo del baratro.
La memorabilia cartacea permette di conservare, attraverso cartoline in bianco e nero, vecchi ritagli di giornale e fotografie ingiallite, l’immagine di ciò che eravamo. Ci da la possibilità di entrare nella macchina del tempo e di farci trasportare indietro restituendoci velocemente ad un passato che l’attuale frenesia quotidiana cerca sempre più di disconoscere. Un valido contributo per impedire che la nostra memoria si lasci bucherellare da tarli non opportunamente tenuti a bada da massicce dosi di naftalina sembra potercelo dare il romanzo di Massimo Cuomo, “Piccola Osteria senza parole”, uno spaccato piacevole, carico di situazioni, personaggi, ambientazioni che potrebbero costituire una buona imbastitura per un documentario della serie “Come eravamo”.
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