Sulla tavola periodica degli elementi, troviamo tutte le codificazioni chimiche che costituiscono poi l'amalgama del nostro essere. Gli alchimisti cercarono inutilmente di mutare in oro materiali meno nobili. Psicologi o presunti tali si intestardirono per cercare l'essenza del sentimento e fisici, astronomi, filosofi si arrovellarono sconfitti dalla mancata risoluzione di quello che è il maggior legame del nostro essere. L'amore. Nessuno pensò di risolvere il dilemma utilizzando una formula matematica. L'equazione di Dirac è un po' come l'enigma di Fibonacci pronunciato dalla Sfinge. Chi lo capisce è bravo. Chi non lo conosce non si angusti. La "Nouvelle petit fée" della scrittura Italiana (ripassatevi il Francese o vi rimando a settembre), Simona Sparaco, propone un codice per risolvere il dilemma antico degli opposti che si attraggono. La Storia d'amore di Lea e Giacomo è una sorta di nodo di Salomone.
Bisognerebbe imporre un seminario di tortura, angherie e privazioni di ogni tipo a tutti coloro che continuano a ritenere necessaria la soppressione di popoli giudicati minori. Bisognerebbe obbligare i signori dell'informazione a renderla sempre multipla, facendo luce sui crimini commessi sia da chi attacca sia da chi dice che si sta solo difendendo e bisognerebbe ogni giorno, inginocchiarsi davanti ai bimbi che piango, per paura, per mancanza di cibo, della mamma, di tutto ciò che ognuno di noi considera necessario per vivere. Solo così potremmo porre fine alla follia che continua attraverso la guerra con l'unico scopo di annientare la razza umana. Non ci sono alieni che ci minacciano. C'è solo la stupidità, la più grande malattia che affligge l'uomo. Non il cancro. Ma l'idiozia sarà la responsabile dell'estinzione della nostra specie. Il virus continua a propagarsi. Se non fosse così, se l'antidoto fosse già stato isolato, allora non avremmo bisogno di ripercorrere il calvario della Shoa.
Rimane incerta la dinamica che portò all'estinzione dei dinosauri. Nessuna specie animale replicò nelle ere post paleolitiche la struttura mastodontica che contraddistingueva i primi quadrupedi del nostro pianeta. Rimane altresì sconosciuta la dinamica di sopravvivenza che il popolo nipponico riuscì a sviluppare per sopravvivere alla più scriteriata manifestazione dell'idiozia umana (i dinosauri non conoscevano la scissione dell'atomo). Sotto al fungo di Hiroshima le spore di una cultura che non conosce eguali, ma solo sterili tentativi di imitazione, maggiori rispetto a quelli della settimana enigmistica, attecchirono per fortificare la rinascita di un popolo che prolunga a dismisura le proprie radici sfuggendo alle contaminazioni e ai tentativi di innesto (in occidente definiti come globalizzazione) il fascino millenario della storia Giapponese, la delicatezza dell'iconografia che gli abitanti della terra del Sole Levante da sempre padroneggiano, sono racchiusi nell'ultimo stupendo, capolavoro di Igort, giunto al terzo Dan di Xilografia e depositario silente dell'onda di Kanagawa. Quaderni Giapponesi prosegue il viaggio che Tuveri ha intrapreso da tempo verso oriente, tracciando una nuova linea così come fece Marco Polo.
Quando vedo sugli scaffali delle librerie uno di quei piccoli rilegati, privi di discutibili scelte grafiche per accattivare l'occhio del compratore, ma fedeli alla linea monocromatica, riconosco il marchio di fabbrica di Adelphi e da subito so che a prescindere dalla tematica trattata, sono davanti ad un ottimo prodotto editoriale. Così come sono a conoscenza che se devo tinteggiare casa, se ho una gamba del tavolo sbilenca o non voglio sacrificare l'inserto culturale del quotidiano ocra, posso sembre attingere a casaccio dall'immenso catalogo di ciofeche che la Rizzoli propone. Ora, al netto di tutto ciò, quando con la massima prosopopea possibile è stata annunciata la nascita e la presentazione al fonte battesimale della Nave di Teseo, figlia di Eco e Sgarbi (Elisabetta... non l'ugulatore isterico), per un attimo ho pensato che la profezia si fosse avverata. Che un nuovo verbo cartaceo non bisunto si sarebbe manifestato indicando l'uscita del labirinto pseudo culturale che quotidiamente fagocita il marasma letterario italico.
Dovrebbero essere gli Svizzeri i designatari dell'incidere del tempo. Con i loro cucù, gli ororlogi di plastica colorati e quelli in oro e argento (o presunto tale) che rappresentano uno status symbol superiore alla consistenza del cioccolato. Il tic Tac cardiaco è tutt'altra cosa. L'aritmia delle emozioni è abilmente descritta da chi non si cura dei secondi, ma vive in una dimensione dove è giorno quando c'è l'amore ed è notte quando ancora l'amore c'è o viene totalemnte a mancare. Gli svizzeri hanno le loro storie su una bambina che corre scalza dietro alle capre. Noi dimentichiamo spesso di ricaricare la svegli in cucina ma non possiamo mai distogliere lo sguardo da quella che è la nostra natura latina. La passione. E sulla scala della latitudine percepiamo come il caldo, il sole, il mare, dilati l'immagine del desiderio. Un autore che da tempo volevo recensire e a cui (qui lo dico e non lo nego) dedicherò altro spazio, è Diego De Silva. Partenopeo Doc. Autore a cui diverse librerie dovrebbero dedicare uno scaffale a parte. Capace di dire ciò che mille altri pensano e che non riescono ad esprimere. Come si fa a raccontare un amore così intenso, senza che i due protagonisti entrino mai in contatto fra di loro. Come si fa a parlare di passione descrivendo l'assenza? Diego De Silva fa un passo a lato, si allontana dalle irresistibili vicende di Vincenzo Malinconico e ci regala una semplice storia d'amore.
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GAZZANIGA, INIZIATI I LAVORI PER RIPARARE AI DANNI CAUSATI DAL NUBIFRAGIO
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