Dovrebbero essere gli Svizzeri i designatari dell'incidere del tempo. Con i loro cucù, gli ororlogi di plastica colorati e quelli in oro e argento (o presunto tale) che rappresentano uno status symbol superiore alla consistenza del cioccolato. Il tic Tac cardiaco è tutt'altra cosa. L'aritmia delle emozioni è abilmente descritta da chi non si cura dei secondi, ma vive in una dimensione dove è giorno quando c'è l'amore ed è notte quando ancora l'amore c'è o viene totalemnte a mancare. Gli svizzeri hanno le loro storie su una bambina che corre scalza dietro alle capre. Noi dimentichiamo spesso di ricaricare la svegli in cucina ma non possiamo mai distogliere lo sguardo da quella che è la nostra natura latina. La passione. E sulla scala della latitudine percepiamo come il caldo, il sole, il mare, dilati l'immagine del desiderio. Un autore che da tempo volevo recensire e a cui (qui lo dico e non lo nego) dedicherò altro spazio, è Diego De Silva. Partenopeo Doc. Autore a cui diverse librerie dovrebbero dedicare uno scaffale a parte. Capace di dire ciò che mille altri pensano e che non riescono ad esprimere. Come si fa a raccontare un amore così intenso, senza che i due protagonisti entrino mai in contatto fra di loro. Come si fa a parlare di passione descrivendo l'assenza? Diego De Silva fa un passo a lato, si allontana dalle irresistibili vicende di Vincenzo Malinconico e ci regala una semplice storia d'amore.
Semplice per modo di dire, perché la scommessa è tutta qui: nel nascondere la profondità in superficie, nel tratteggiare desideri e dolori, speranze e rovine, con poche parole essenziali, dritte e soprattutto vere. Perché, come diceva Fanny Ardant ne La signora della porta accanto, solo i racconti scarni e le canzoni dicono la verità sull'amore: quanto fa male, quanto fa bene. Solo lì si cela l'assoluto. Cosi De Silva prende i suoi due personaggi e li osserva con pazienza, li pedina, chiedendoci di seguirlo - e di seguirli - senza fare domande. Irene vuole essere felice, e quando il suo matrimonio inizia a zoppicare se ne va. Nicola è solo, confusamente addolorato dalla morte di una donna che aveva smesso di amare da tempo. Anche lui, come Irene, è mosso da un'assoluta urgenza di felicità. Anche lui vuole un amore e sa esattamente come vuole che sia fatto. Sarebbero destinati a una grande storia, se solo s'incontrassero una volta nel bistrot che frequentano entrambi. Ma il caso vuole che ogni volta che Nicola arriva, Irene sia appena andata via. Se le vite di Nicola e Irene non s'incontrano fino alla fine, le loro teste invece s'incontrano nelle pagine di questo libro: i pensieri, le derive, il sentire si richiamano di continuo, sono ponti gettati verso il nulla o verso l'altro. Forse, verso l'attimo imprevisto in cui la felicità finalmente abbocca. De Silva è davvero un maestro. Uno di quelli che dovrebbe avere l'ardire di fare lezione all'aperto, con allievi pigolanti intenti a seguirlo su sentieri arditi, su risalite verbali e su discese infinite. Non mi interessa sapere dove abbia studiato. Se sia un prodotto della scuola Holden o meno ( mi auguro di no). Mi interessa conoscere dove si tengono i suoi corsi, se mai davvero esistono. Perchè da uno così si può e sopratutto si deve imparare. Chapeau. Coppola, borsalino, Panama. Insomma, quello che volete. Tanto di cappello maestro.
Mancarsi – di Diego De Silva. Ed Einaudi. Pag 120.
Mangiate e bevete quello che volete. Non alzatevi dalla sedia sino a lettura terminata.
A cura di William Amighetti
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