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Chi è nato in un paese dove il mare arriva a lambirne le coste, sa che con ogni mareggiata sulla spiaggia vedrà arrivare o grandi tesori o rottami di carrette che sono colate a picco. L’immagine di questa istantanea può essere litografata sugli immaginari litorali letterari. Ogni giorno si assiste allo sbarco di testi che possono rivelarsi o come vascelli carichi di dobloni d’oro o come gozzi bolsi o peggio ancora come scialuppe di salvataggio che nel naufragio hanno perso gli unici tempi verbali che sarebbe stato il caso di mettere in salvo. La nostra penisola culturale assiste quindi all’invasione barbarica di testi che poco hanno a che spartire con quelli che sono i dettami classici necessari alla stesura di un buon libro. Sul radar editoriale, per fortuna, appare in avvicinamento “Atti osceni in luogo privato” che potrebbe costituire la bussola che ci riporti verso quella che è sempre stata la terra dei romanzi d’autore di pregio. Ci siamo smarriti. Tutti quanti. Questa è la verità. Le sfumature sessuali sono in realtà dei fenomeni meteorologici che hanno semplicemente annebbiato la vista, facendoci uscire di strada e finendo con il farci impantanare in terreni limacciosi che non possono dare nessun segnale di fertilità a parole destinate a crescere e a ramificarsi in giochi letterari che costituiscono la vera essenza di un romanzo.

La letteratura che narra delle gesta dei supereroi, appartiene generalmente al settore delle Graphic Novel, rilanciato anche attraverso le sale cinematografiche che stanno riproponendo le gesta epiche dei figli della Marvel. Si potrebbe fare una ricerca anche nei trattati di fisiologia, perché a quanto pare, per poter essere una creatura con poteri paranormali bisogna per forza di cose accettare il compromesso di dover subire mutazioni genetiche. Così come Hulk che ha palesi problemi dermatologici. Come uno dei fantastici quattro che soffre del fuoco di S. Antonio. Abbiamo chi genera forme di aracnofobia, chi si sente a proprio agio fra pipistrelli piuttosto che corvi. Chi preferisce cambiarsi d’abito in una cabina telefonica, chi ha problemi alle unghie che risultano affilate come coltelli, chi soffre di camaleontismo e chi mostra ai bambini ciò che una cattiva igiene personale può fare alla pelle, che se non lavata correttamente si trasforma in roccia. Rimane però il fatto che grandi e piccini adorano i supereroi. Forse perché le loro gesta, anche quelle quotidiane, risultano ai comuni mortali come limiti invalicabili.

Ci sono quasi quattromila musei dislocati lungo la nostra penisola. Racchiudono ogni forma di arte che è sopravvissuta all’incedere del tempo. In nessuno di questi si trova però uno spazio dedicato alla sola parola. Se mai venisse creata una pinacoteca allo scopo di sopperire a tale lacuna, ecco che un intera sala potrebbe accogliere i tempi verbali e i germogli degli aggettivi che Mario Rigoni Stern ha fatto crescere, a suo tempo, in quello che può essere visto come un immaginario orto di montagna, esposto al freddo e al gelo e capace di dare primizie, che spuntino dalla coltre bianca così come fanno i bucaneve e che mostrano tutta la loro caparbietà e la loro voglia di vivere. Le parole di Stern hanno una dimensionalità tale che il loro innesto sulla carta bianca determina delle sensazioni talmente peculiari da rendere i romanzi dello scrittore veneto così vivi che si può sentire il caldo o il freddo direttamente sulla punta delle dita. In inverni lontani, anche Stern si lascia ammaliare dalla macchina del tempo. Quella letteraria.

Le partiture a quattro mani erano molto in voga nel settecento e si cimentarono un po’ tutti in questa forma di tenzone artistica. Molto di meno invece prese corpo la stesura di un romanzo che miscelasse due stile diversi e nello stesso tempo complementari. I personaggi potevano avere un ruolo bivalente, ma difficilmente l’esperimento coinvolgeva gli autori. Antonio Vena e Luca Ilardo hanno dato vita ad un interessante duo, formandosi poi con lo pseudonimo di Giuliano Fardo (e chiudiamo qui l’elenco dei nomi) e di comune accordo hanno tracciato i nuovi canoni di quello che dovrebbe essere il romanzo Thriller, cacciando dal loro personalissimo eden grammaticale le varie specie di primati che continuamente scimmiottano i pseudo best sellers americani e che propongono gli stessi metodici e tediosi cliché. Nessun perdono è un romanzo che genera un amalgama di geografia, di storia, di suspense, che non è una materia di studio ma che in un romanzo è un po’ come il sale per le pietanze.

L’amore esiste. Basterebbe questo incipit da tramandare ai posteri per riassumere l’oceano letterario che narra del sentimento nobile. Poi bisognerebbe aggiungere che l’amore esiste in decine di sfumature e segnalare nelle istruzioni per l’uso che quelle di grigio, di nero o di rosso, vanno accuratamente evitate, altrimenti bisognerebbe aggiungere un sottotitolo, specificando che anche le ciofeche sono sopravvissute al biblico diluvio universale, salendo in groppa alle pulci e resistendo nei secoli. L’amore vero impregna pagine da illo tempore e continuerà a farlo, spinto dalla necessità di trasmettere l’amalgama di sentimenti che costituiscono il suo caleidoscopico essere. Così, per questa ragione, ho scelto di recensire un romanzo d’amore, per celebrare la giornata degli innamorati, che come i romanzi non avranno mai un età definita. Ho pescato anche io. Come il vecchio di memoria Hemingweiana ed ho trovato fra le maglie della mia rete un romanzo che potrebbe essere paragonato al pesciolino d’oro. A mezzogiorno del mondo, di Maria Cristina Sferra è un acquarello delicato.

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