Era il 14 febbraio 1895 quando, sui palcoscenici londinesi, esordiva la commedia "L’importanza di chiamarsi Ernesto" di Oscar Wilde. La critica teatrale e letteraria dell’epoca, forse troppo ingessata dai rigori morali vittoriani, peraltro apertamente dileggiati nella commedia di Wilde, non ne colse lo spirito sarcastico, brillantissimo ed innovatore, ed ebbe a suscitare non poche perplessità sulla finitura dell’opera.
Invero, a più di un secolo dall’esordio l’opera di Wilde è oggi pressoché universalmente riconosciuta come un geniale, straordinario e perfetto esempio di commedia "nonsense", anticipatrice di pressoché tutte le più moderne soluzioni del teatro dell’assurdo: in questo senso, Ionesco, Brecht e Beckett sono solo alcuni tra i grandi del teatro epigoni di Wilde. Scritta tra il 1894 ed il 1895, l’opera, paradossalmente, vide la luce in un difficilissimo momento della vita di Wilde, ovvero alla vigilia di quel processo ("la tragedia più orribile di tutta la storia della letteratura" come ebbe e definirlo Hall Caine) che lo scrittore affrontò in maniera cieca e testarda, quasi con foga autodistruttiva, e che, infine, lo condusse in carcere. Ma fu proprio in quegli anni bui che la penna di Wilde, forse presagendo l’esito del processo, reagì esaltandone il genio, spingendolo ad incidere sulla carta quella sequenza di perfette parole che, infine, formarono "l’importanza di chiamarsi Ernesto". Uno spettacolo da vedere, quindi, anche solo per comprendere quanto "la vita imiti l’arte più di quanto l’arte non imiti la vita".
L’importanza di chiamarsi Ernesto
Dal 13 al 18 gennaio – Teatro Donizetti
Traduzione di Masolino d’Amico
Regia di Geppy Gleijeses
Con Geppy Gleijeses, Marianella Bargilli e Lucia Poli
La produzione teatro stabile di Catania e teatro Quirino “Vittorio Gassman”