L’iperbole generata dall’ultimo lavoro cinematografico di Sorrentino sta producendo danno anche a livello letterario. Così, se la critica ha ritenuto doveroso il premiare uno dei peggiori lavori di collage Felliniano, contribuendo all’aumento del gregge della micro intellettualità che senza sapere né perché né per come ha continuato a definire "La grande bellezza" come un capolavoro assoluto, ecco che a livello speculare ci ritroviamo con premi letterari dove giurie di snob e saccenti romanzieri decretano che ci sia bisogno, o meglio, come ultimamente si usa dire, si senta l’urgenza di dare spazio ad una nuova forma narrativa. Cito testualmente: "In letteratura, coraggio può voler dire molte cose. Può significare rinunciare alla guida di una trama, o scegliere una lingua impetuosa, una sintassi acrobatica, o sfuggire alla tentazione di concedere al lettore rassicurazione e conforto. Ecco, questa è la motivazione che ha portato i giurati del Premio Calvino ad assegnare il prestigioso premio a "Cartongesso", scritto da Francesco Maino.
Un libro? assurdo, terribile, il caos affidato a reminescenze lisergiche. Scrivere un libro significa rispettare sia alcuni canoni sia lo stato di tensione emotiva dei possibili lettori. Se nel primo caso il concetto può essere tradotto con la metafora che un bambino dell’asilo non può essere paragonato ad un ritrattista fiammingo, nel secondo il punto è che colui che legge un libro si aspetta di poter capire che cosa ci sia scritto. Che la storia abbia un senso. Che la narrazione possa anche essere ostica ma che comunque inviti a proseguire verso le pagine successive. Così non è in questo strampalato lavoro che viene premiato come se in Italia solo chi si discosta dagli schemi sia meritevole di lode. Cartongesso è una ciofeca tremenda. È l’esempio di come chi gestisce la vita e la morte di romanzieri in erba scelga di falciare a casaccio con la mietitrebbia e si issi su piedistalli sempre più traballanti starnazzando a destra e manca che lui e solo lui ha finalmente scoperto il nuovo Hemingway de noialtri.
Mi chiedo quale sia lo stato d’animo di coloro che si sono visti finalisti al premio succitato e che abbiano avuto l’amara sorpresa di scoprire questo lavoro destrutturato, privo di sintassi, debole in ogni suo passaggio, logorroico sino alla noia, che veniva indicato come il romanzo di riferimento di una generazione che già ha di suo il non sapere da che parte andare, ci mancava solo che come guida letteraria gli venisse proposto un libro che può essere allegramente regalato ad un amico non vedente, facendogli presente che per sua fortuna l’edizione in Braille non è stata ancora predisposta. Con venti euro si può sfamare in maniera migliore l’appetito culturale evitando di cadere sulle pagine di carta moschicida predisposte da editor, da cover concept e da altri figuri che purtroppo ammorbano l’aria editoriale perché al momento non hanno trovato altro luogo dove poter fare danno. Ridicolo poi che si voglia far passare Maino come l’assoluta novità italiota. Il suo non libro è una brutta copia di "Cemento" di Thomas Bernhard, autore decisamente più autorevole e capace di crearsi uno stile proprio. Maino è la brutta copia di un Bukowski misto a Bernhard. Dover constatare che né la giuria né gli editori sono in grado di rendersi conto che questo scarabocchio è frutto di scopiazzature maldestramente tradotte in un dialetto che alcuni vorrebbero assurgere a lingua ufficiale è sintomatico dello squallore che impregna la maggior parte delle case editrici italiche.
Cartongesso, di Francesco Maino. Ed. Einaudi
A cura di Wiliam Amighetti
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