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Prima ancora di convertirci all’esterofilia anglofona, il nostro lessico era infarcito da termini francesi che ci facevano sentire inevitabilmente dei radical chic. Uno di questi, utilizzato nella sua fase d’esordio nelle conversazioni erudite è Routine. La ripetizione che sotto intende l’anticamera della noia. La quotidianità che non lascia spazio all’improvvisazione e che schiavizza l’impostazione del tempo lavorativo e ricreativo. I latini sostenevano che repetita iuvant e tale massima è stata magistralmente messa in pratica dai criceti, più che dagli esseri umani. Il roditore ha inserito nella propria quotidianità una serie continua di giro sulla ruota. Di sonno programmato e di abbuffate malcelate dalla necessità di approvvigionarsi per anticipare il letargo. Provate a togliergli all’improvviso una di queste costanti e improvvisamente la gabbietta dove il mondo gli appariva paradisiaco si trasformerà in un cella di isolamento. L’incipit può essere utilizzato per descrivere la vita metodica di Rita Riboldi, la protagonista del romanzo di Gabriele Cecchini, La caduta.

Non è una ruota che si inceppa, ma un passo maldestro, che fa finire la professoressa lunga e distesa, un po’ come la vispa Teresa, davanti ai suoi studenti. Da quel momento la geometria quotidiana conosce un continuo smottamento tellurico. Tutte le prospettive vengono meno. Nella testa di Rita si accavallano sensazioni, desideri mal sopiti, sperimentazioni. Si amalgamano fra di loro una serie di sentimenti che appartengono a tutti gli esseri umani e non ai criceti e la metamorfosi che spinge una donna di mezza età a prendere finalmente coscienza con il proprio corpo e, nonostante lo sforzo mentale anche con il proprio io, determina il leight motiv (in questo caso anglofonismo voluta) su cui si basa la storia. Descrivere il turbamento, dare voce a storie che non vorremmo vivere, fatte di mediocrità silente, di isolamento dalla centricità di tutti gli stereotipi su cui si basa la nouvelle vogue (e qui ritorniamo al francese) è anacronistico. In ambito letterario ancora di più, visto che il mercato è saturo di bambini deportati, di mestieranti mediorientali e di sessualità fasciata da corpetti da dominatori. Cecchini è probabilmente un maestro d’ascia. Scarica sulle pagine la forza da boscaiolo e separa il frivolo dall’essenziale.

"La caduta" è un lavoro ben costruito. Con una fase di progettazione attenta che ha permesso all’autore di entrare nel personaggio, di viverlo e poi di farlo vivere. L’ambientazione è quasi teatrale. Si respira l’aria della prosa di De Filippo e si resta vinavillati (neologismo non presente all’accademia della crusca) a un racconto che si fa incalzante e che sviluppa nel lettore una forma di affetto, verso una Rita qualunque, che inevitabilmente finisce con l’assumere voce e movenze di chi abbiamo incontrato, magari ogni giorno, senza renderci conto che si trattava di una persona e non di un criceto.

 

La caduta – di Gabriele Cecchini. Ed. La Gru

Per una buona lettura, post stress festaiolo, si consiglia di riempire la vasca da bagno con oli essenziali di cedro del libano. Posare sul bordo una tazza di Tisana ottenuta miscelando foglie di Ortica e fiori di betulla.

 

A cura di Wiliam Amighetti

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