Benché sia maggio il mese dove i papaveri pullulano nei campi della nostra penisola, è ad ottobre che gli alti steli rossacei della letteratura confluiscono in Svezia, luogo dove papaveri non ve ne sono, per sfoggiare la loro dentatura posticcia e sbiancata e roteare come pupazzi da carillon mossi dalla chiavetta del premio Nobel per la letteratura. Anche quest’anno, nonostante non concorra per l’assegnazione, sarà nel salone reale, Mario Vargas Llosa, che la sua onoreficenza l’ha portata a casa, in Perù, nel 2010. Una volta, un giocatore di calcio che ora prosegue la sua vita lavorativa come allenatore, disse che l’ingaggio non era per ciò che lui avrebbe dovuto fare in futuro, ma per ciò che aveva già fatto in precedenza.
Ecco, questa massima nostrana potrebbe essere appiccicata sulle copertine de L’eroe discreto, il romanzo dello scrittore andino, sostituendo le menzoniere fascette che pavoneggiano numeri di copie vendute e riedizioni in doppia cifra. Il Nobel per la letteratura non può più vantarsi di essere lo specchio di una coscienza fatta di parole destinate a smuovere gli animi a livello mondiale. Vargas Llosa presenta un romanzo che non ha nulla di significativo.
Noioso. Lentissimo, quasi canicolare nella sua stesura, porta maggiormente alla memoria i classici personaggi messicani, con il loro sombrero e il poncho colorato, appoggiati al muro di una taverna mentre smaltiscono la mezza sbornia di tequila. Perché quindi recensire questo libro, che la solita intellighenzia nostrana si è prodigata per cercare di farlo passare come un capolavoro? Un po’ come La grande bellezza di Sorrentino, tutti a dire che è bellissimo per la paura di dover ammettere invece che è una ciofeca pazzesca (e ringrazio la Signora Virna Lisi che ha avuto il candore di ricordarlo).
Non amo riempire lo spazio che mi viene concesso con una recensione negativa. È molto più utile non parlare di un romanzo privo di spessore che non dedicargli tempo. Questo però mi serve per far capire come esista un arcipelago di letture fantastiche, piene di emozione ed azione, ricche di spunti che provengono da quotidianità reali e che sono scritti da autori sconosciuti, che al massimo vedranno il loro nome fra i premiati di qualche sagra letteraria o di concorsi popolari. Esiste una letteratura stupenda in Italia, senza bisogno di dover andare sempre alla ricerca di presunti talenti che ci narrano vicende noir o legali quando poi nessuno approfondisce Scerbanenco. Che esaltano i viaggi spazio temporali di un maghetto british dimenticando che il buon Salgari fu il primo a dare il via a trilogia o quadriglia con i suoi pirati di Mompracen e che l’amore di Liala non ha ancora conosciuto pari. L’eroe discreto è una tediosa telenovela che fatica non poco a scollinare per poi riprendere un po’ di brio verso la fase finale della lettura, cioè dopo duecentocinquanta pagine decisamente noiose.
I personaggi non ti fanno venire voglia di volerli conoscere. L’ambientazione è tediosa. Insomma, un lavoro che non si fa apprezzare. Utile però per far capire quanto il movimento giovanile italico sia degno di essere scoperto. Romanzo che definirei omeopatico. Sostituisce senza effetti collaterali il valium e concilia il sonno ad ogni ora del giorno.
L'eroe discreto di Mario Vargas Llosa, Ed. Einaudi
Per una buona lettura si consiglia di avere a portata di mano stick di Sali d’ammonio per riprendere i sensi.
A cura di Wiliam Amighetti
Scrivi a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.