Con la sentenza n. 3116 del 25 gennaio 2012 la Corte di Cassazione ha stabilito che una bomboletta spray urticante a base di peperoncino non può essere ricompresa nella nozione di armi il cui porto è vietato. Ad avviso della Corte una bomboletta contenente spray urticante può essere considerata un’arma solamente se contiene gas lacrimogeni o gel paralizzanti.
Il Ministero dell’Interno ha peraltro stabilito quali sono le caratteristiche tecniche che uno strumento di difesa che nebulizza il principio attivo naturale deve possedere affinchè possa escludersi l’attitudine a recare offesa alla persona.
La vicenda. E’ il maggio 2008. Una donna porta in luogo pubblico una bomboletta contenente spray urticante, marca Pfeffer, capienza di 50 ml. Ad avviso del Tribunale di Verona il fatto costituisce reato e la donna, sulla base degli artt. 2 e 4 della legge 110/1975, viene condannata alla pena di euro 120,00 di ammenda con il beneficio della non menzione della condanna nel certificato penale. Afferma il Tribunale che la bomboletta in oggetto (che non conteneva gas lacrimogeni o irritanti bensì una composizione vegetale –oleoresin capsicum- il cui agente attivo era responsabile del sapore piccante e degli agenti irritanti) non contiene gas costituenti aggressivi chimici (come previsto dalla legge 895/67) e quindi non ha capacità di offendere la persona tipica di tali aggressivi.
Per tali motivi, la bomboletta è da ritenersi strumento utilizzabile, per le circostanze di luogo e di tempo, per l’offesa alla persona, il cui porto fuori dall’abitazione è vietato in assenza di giustificato motivo. La Procura generale di Venezia ha proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza chiedendone l’annullamento per l’illegittima riqualificazione del fatto. Sostiene la Procura che il contenuto della bomboletta doveva considerarsi aggressivo chimico e che la bomboletta è un’arma anche perchè la Commissione consultiva centrale per il controllo delle armi era pervenuta a pari conclusioni.
La Corte di Cassazione investita dal ricorso ha affermato che la bomboletta non è certamente un’arma da guerra o di tipo guerra ai sensi dell’art. 1 della legge 110/1975 (questo poichè non contiene aggressivi chimici, biologici e radioattivi dotati di spiccata potenzialità di offesa). L’art 2 della legge 110/1975 considera armi da sparo anche quelle ad emissione di gas, a meno che la commissione consultiva non escluda l’attitudine a recare offesa alla persona.
La Corte ricorda la propria giurisprudenza e rammenta di considerare armi comuni da sparo le bombolette contenenti gas lacrimogeni oppure gas paralizzanti e ricorda che le bombolette spray contenenti sostanze urticanti son state considerate aggressivi chimici quando idonee a compromettere in concreto, anche in via temporanea, l’integrità dell’organismo umano. Venendo alla bomboletta in questione la Corte ricorda che il regolamento del Ministero dell’Interno del 12.5.2011 ha chiarito le caratteristiche tecniche che devono possedere “gli strumenti di autodifesa che nebulizzano il principio attivo naturale a base di oleoresin capsicum” per escludere l’attitudine a recare offesa alla persona.
La bomboletta in parola, in libera vendita all’epoca dei fatti, conteneva solamente l’oleoresin capsicum, senza quindi essere miscelata ad altre sostanze infiammabili, corrosive, tossiche, cancerogene o aggressivi chimici, componenti questi che avrebbero fatto rientrare la bomboletta nelle armi comuni da sparo. La Corte ha poi chiarito che la bomboletta non possedeva alcuna caratteristica tecnica difforme da quanto previsto dal regolamento ministeriale.
Il ricorso della Procura di Venezia è stato quindi rigettato.
Rubrica a cura dell’avv. Stefano Savoldelli del foro di Bergamo
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