Tramite referendum gli irlandesi hanno di recente previsto la possibilità, per le coppie composte da soggetti dello stesso sesso, di unirsi in matrimonio. Preso atto del risultato referendario, i maggiori siti italiani di informazione hanno pubblicato, aggiornandole, eloquenti mappe indicanti lo stato dei diritti delle coppie omosessuali in ogni nazione europea.
L’Italia, a differenza di quasi tutte le altre nazioni del continente, non prevede per tali coppie la possibilità del matrimonio, né delle unioni civili e neppure riconosce le convivenze non registrate: si tratta di una posizione - condivisibile o meno - che tuttavia, spesso, nelle aule dei tribunali italiani conduce a situazioni a dir poco grottesche.
Ne è riprova la recentissima sentenza n. 8097 del 2015 della Corte di Cassazione civile. Il caso, avente per protagonista una coppia emiliana, è presto spiegato: il marito, in costanza di matrimonio, propone al locale Tribunale, con il consenso della moglie, domanda di rettificazione ed attribuzione del sesso femminile. In sentenza la domanda viene accolta con l’ordine, rivolto all’ufficiale di stato civile, di modificare il prenome dell’uomo nell’atto di nascita, e di apporre la medesima annotazione a margine dell’atto di matrimonio, specificandone l’intervenuta cessazione degli effetti civili.
Marito e moglie hanno proposto ricorso chiedendo la cancellazione di quest’ultima annotazione. Il Tribunale di Modena ha accolto il ricorso che poi è stato tuttavia rigettato dalla Corte di Appello su reclamo del Ministero dell’interno. In buona sostanza l’uomo e la donna (quest’ultima, peraltro, per legge nemmeno legittimata ad opporsi all’automatico scioglimento) volevano che il loro matrimonio continuasse anche dopo la rettifica del sesso, mentre lo Stato italiano si è opposto in giudizio alla richiesta, insistendo per l’automatico venir meno del vincolo. Come dire: se in Italia v’è amore tra persone dello stesso esso, allora quell’amore è legalmente riconosciuto e tutelato, ma se uno dei sue soggetti cambia sesso, allora quell’amore non è più degno nè di tutela e nè di riconoscimento.
La Corte Costituzionale, investita del ricorso, ha dichiarato (sentenza n. 170 del 2014) l’illegittimità della previsione di legge che statuisce lo scioglimento automatico del matrimonio a seguito di rettificazione del sesso di uno dei coniugi, stabilendo che il rapporto può benissimo continuare a vivere con altra forma di convivenza registrata (con modalità da statuirsi da parte del legislatore) che tuteli adeguatamente i diritti e gli obblighi della coppia. La Corte ha altresì precisato che non si può, logicamente (ed umanamente, aggiunge chi scrive), passare in via automatica da una forma di massima tutela della coppia (il matrimonio) ad uno stato di massima indeterminatezza.
Dopo la pronuncia della Corte Costituzionale, il caso è stato rimesso alla Corte di Cassazione. I coniugi, accolto con favore la pronuncia della Corte Costituzionale, hanno tuttavia evidenziato che non esiste alcuna forma di tutela della coppia alternativa al matrimonio. La Cassazione, valutata la pronucia della Corte Costituzionale, ha quindi riconosciuto che il legislatore è tenuto ad introdurre “con la massima sollecitudine” una forma alternativa di unione. E’ ammissibile, aggiunge la Corte, che una nazione riconosca come legittimo il solo matrimonio tra persone di sesso differente, ma non è costituzionalmente ammissibile che a seguito della rettificazione del sesso da parte di uno dei coniugi la coppia venga privata del nucleo di diritti fondamentali e doveri solidali propri delle relazioni affettive sulla quali si fondano le principali scelte di vita e si forma la personalità sul piano soggettivo e relazionale.
V’è dunque un vuoto normativo, afferma la Corte, produttivo di effetti costituzionalmente incompatibili con la protezione che l’unione conseguente alla rettificazione del sesso di uno dei componenti deve, per obbligo costituzionale, conservare ex art. 2 della Costituzione (« La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»). All’esito di tale ragionamento, la Corte ha previsto che nel caso in parola non possa cadere automaticamente il vincolo matrimoniale, quanto meno sino al richiesto intervento del legislatore per colmare il vuoto normativo.
In conclusione, dunque, la Corte di Cassazione ha confermato la validità e legittimità del matrimonio contratto dai ricorrenti, conservando per i medesimi il riconoscimento dei diritti e doveri conseguenti al vincolo matrimoniale legittimamente contratto, fino a quando il legislatore non consentirà agli stessi di mantenere in vita il rapporto di coppia regolamentato giuridicamente con altra forma di convivenza registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi. Viene quindi garantita per la coppia, sino a nuovo intervento legislativo, la piena conservazione dello statuto dei diritti e doveri matrimoniali.
Rubrica a cura dell’avv. Stefano Savoldelli del foro di Bergamo
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