Siamo in Puglia, nel 2004, quando un uomo si rivolge al locale Tribunale per chiedere la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto anni prima con la moglie. Il marito chiede in particolare che alla donna non venga riconosciuto alcun assegno divorzile. La moglie, che non si oppone al divorzio, è ovviamente di parere contrario, e chiede il riconoscimeno di una somma su base mensile.
Tenute in debita considerazione le argomentazioni svolte dai coniugi, il Tribunale di Brindisi dichiara la cessazione degli effetti civili del matrimonio riconoscendo tuttavia in favore della moglie un assegno pari ad euro 1000,00 mensili. Il marito impugna la sentenza innanzi alla corte d’appello di Lecce, la quale conferma le domande dispiegate dalla moglie. L’uomo tuttavia non demorde e, convinto di non dovere nulla alla donna, propone ulteriore ricorso innanzi alla Corte di Cassazione. Sostiene l’uomo che la donna ha da tempo avviato una relazione stabile con altro soggetto, in tal modo costituendo una vera e propria famiglia di fatto, il che, a suo avviso, costituisce motivo sufficiente per dichiarare l’esclusione della corresponsione di alcun assegno.
Il ragionamento dell’uomo è molto semplice: se la mia ex moglie convive stabilmente con un altro uomo, perché debbo versargli delle somme a titolo di mantenimento? La circostanza, per quanto di ovvia soluzione, in realtà non lo è in base alle norme italiane. Numerosissimi sono infatti i casi di soggetti che ancora oggi, a seguito di sentenze di separazione e/o divorzio, debbono versare in favore del coniuge più debole economicamente lauti assegni di mantenimento e ciò per quando l’ex coniuge conviva stabilmente e venga mantenuto da altro soggetto.
La Corte di Cassazione, recepito il ricorso del marito, dichiara, seguendo una giurisprudenza ormai consolidata, che l’espressione famiglia di fatto non consiste soltanto nel convivere come coniugi ma indica prima di tutto una famiglia, portatrice di valori di stretta solidarietà, di arricchimento e sviluppo della personalità di ogni componente, e di educazione e di istruzione dei figli. In tal senso, aggiunge la Corte, si rinviene, seppur indirettamente, nella stessa Carta Costituzionale una possibile garanzia per la famiglia di fatto quale formazione sociale in cui si svolge la personalità dell’individuo, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione. Aggiunge la Corte che ove la convivenza assuma i connotati di stabilità e continuità ed i conviventi elaborino un progetto ed un modello di vita comune, analogo a quello fondato sul matrimonio, allora la mera convivenza si trasforma in una famiglia di fatto. Ed in una situazione di tale natura, è chiaro che il parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, sul quale viene calcolato l’assegno mensile in favore del coniuge economicamente più debole, è destinato a venir meno, attesa l’esistenza di un nuovo nucleo familiare. E venendo meno ogni legame con il tenore di vita che caratterizzava la precedente unione, viene quindi meno ogni presupposto per il riconoscimento dell’assegno mensile.
Ciò premesso, il ragionamento della Corte si spinge oltre e giunge a spiegare che se è vero che la nuova convivenza blocca l’assegno, è anche vero che, per giurisprudenza maggioritaria, il venir meno della convivenza ripristina l’assegno stesso. L’ex marito, in altre parole, dopo aver smesso di versare somme in favore della moglie, dovrebbe tornare a farlo. Così da sempre stanno le cose in Italia: è grottesco, ma è così. Ebbene con la recente pronuncia n. 6855 del 2015 la Corte di Cassazione, in un attacco di laicità ed illumismo, afferma che una nuova conivenza, eventualmente potenziata dalla nascita di figli, è situazione che rescinde ogni e qualsiasi legame con l’unione nata dal matrimonio, anche perché il convivente non può non mettere in conto il rischio che la convivenza stessa venga un giorno meno. Fiumi di parole ed anni di contese giudiziarie per sostenere ed affermare infine argomentazioni di assoluta ovvietà. Nel caso in esame, all’esito di cotanto ragionamento, la Corte ha quindi ritenuto che fosse pacifica la circostanza relativa alla nuova e stabile convivenza della moglie (unione dalla quale peraltro erano persino nati anche due figli) e che tale unione a tutti gli effetti dovesse essere considerata come una famiglia di fatto, tale da rescindere ogni legame nato dal matrimonio. Per questi motivi, la Corte ha dichiarato che alla moglie nulla deve essere riconosciuto a titolo di mantenimento.
Rubrica a cura dell’avv. Stefano Savoldelli del foro di Bergamo
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