Un uomo parcheggia il proprio camion dotato di impianto frigorifero nel cortile di una Società. Un altro uomo, che risiede nell’abitazione confinante, si sente disturbato dal rumore del refrigeratore e decide di scendere in strada per protestare. Rivoltosi al conducente del camion, minaccia di tagliare il filo della corrente dell’impianto nel caso non venga spento. Inascoltato, l’uomo rientra in casa, raccoglie una piccola accetta, torna al camion e si fa giustizia da sé, esattamente come preannunciato. Tutto finito? Certo che no.
L’autore del gesto viene infatti denunciato. Segue un processo che in primo grado sfocia nella condanna dell’imputato: ricorrendo l’ipotesi lieve, viene condannato alla pena di euro 700 di ammenda per il reato di porto abusivo di uno strumento atto ad offendere. Non segue condanna ex art. 392 c.p. (esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose) essendo intervenuta remissione di querela. Contro la sentenza ricorre in Cassazione lo stesso reo.
La Corte richiama l’art. 4, comma 2, della legge 110/1975 secondo cui “senza giustificato motivo non possono portarsi fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni, sfere metalliche, nonche' qualsiasi altro strumento non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l'offesa alla persona”. Gli strumenti elencati, sostiene la Corte, sono perfettamente equiparabili ad armi improprie, motivo per cui il loro porto costituisce reato per il caso avvenga senza giustificato motivo.
L’accetta, evidenzia poi la Corte, non rientra nel sopra citato elenco, ma vi può rientrare essendo comunque strumento "non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l'offesa alla persona".
Due sono quindi le condizioni perché vi possa essere condanna: l’utilizzo senza giustificato motivo dello strumento e la possibilità che lo stesso possa essere utilizzato per l’offesa alla persona. Fermo questo ragionamento, la Corte ha deciso, con la sentenza n. 6165/2015, che lo strumento usato dal reo non poteva rientrare tra quelli di cui all’art 4, comma 2 della legge 110/1975, atteso che si trattava di "un arnese utilizzato nei lavori di montagna per il taglio di piccoli pezzi di legno", e quindi non utilizzabile in concreto per l’offesa alle persone.
La Corte ha quindi annullato la sentenza di primo grado perché il fatto non sussiste.
Rubrica a cura dell’avv. Stefano Savoldelli del foro di Bergamo
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