Di recente negli Stati Uniti si è diffusamente parlato del curioso matrimonio tra un uomo di cognome Burger e d’una donna di cognome King. Se ne è parlato dal momento che Burger King, la nota catena di fast food, una volta appresa la notizia del matrimonio ha deciso di pubblicizzare e sfruttare l’evento pagando agli sposi tutte le relative spese. Inutile dire che l’avvenimento si è ben presto guadagnato sui media il ben triste appellativo di "matrimonio fast food". In Italia la medesima definizione viene talvolta utilizzata per definire i matrimoni di brevissima durata, unioni un tempo assolutamente rare e tuttavia oggi non poi così difficili da rinvenire.
Matrimoni di questa natura, evidente segnale del mutamento delle abitudini sociali, hanno ovviamente spinto il legislatore ad occuparsene onde definire al meglio il destino dei coniugi a seguito della rottura della loro unione.
Uno degli ultimi casi di questa natura giunto all’attenzione della Corte di Cassazione, si è verificato a Bari, ove una coppia ha avviato la procedura di separazione dopo appena cento giorni - di cui soli dieci di convivenza - dalla celebrazione del matrimonio. In fase di separazione la moglie ha chiesto al Giudice che il marito le riconoscesse un congruo assegno di mantenimento, dal momento che, a suo dire, esisteva una forte sperequazione economica tra i coniugi e che i medesimi, peraltro, in costanza di matrimonio avevano goduto di un elevato tenore di vita (è noto infatti che, anche dopo la fine della loro unione, i coniugi debbono poter continuare a mantenere il medesimo tenore di vita goduto nel corso della vita matrimoniale). Il marito, dal canto suo, ha chiesto il rigetto delle domande avanzate dalla moglie, non potendosi, a suo dire, sostenere che la brevissima durata del matrimonio avesse comportato l’instaurazione di quella comunione materiale e spirituale dei coniugi necessaria al riconoscimento, in favore della moglie, di un assegno di mantenimento. I Giudici della Corte di Cassazione, pronunciandosi con l’ordinanza n. 6164/2015, han confermato le pronunce già rese nei precedenti gradi di giudizio dal Tribunale e dalla Corte d’appello di Bari, così accogliendo le domande avanzate dal marito. La Corte, confermando il proprio costante indirizzo giurisprudenziale (ancora di recente con la sentenza n. 7295/2013), ha chiarito che la durata del matrimonio influisce certamente sulla determinazione della misura dell’assegno ma non anche –salvi i casi in cui non si sia verificata comunione materiale e spirituale tra i coniugi- sul riconoscimento del medesimo
La Corte ha dunque ritenuto che nel caso specifico, stante la brevissima durata del matrimonio, alcuna comunione materiale e spirituale si fosse instaurata tra marito e moglie. Per conseguenza, le richieste avanzate dalla donna son state integralmente respinte e la medesima è stata altresì condannata al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, pari a ben 3.100,00 euro, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.
Con la medesima somma, verrebbe da dire, la donna avrebbe ben potuto pranzare nei migliori ristoranti slow food italiani, magari persino salvando il proprio matrimonio.
Morale della favola: "i’m lovin’ it" ("lo amo"), lo slogan di McDonald, certo non si addice al matrimonio fast food.
Rubrica a cura dell’avv. Stefano Savoldelli del foro di Bergamo
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