Spesso, soprattutto per motivi di cronaca, apprendiamo di soggetti colti in stato di ebbrezza alla guida di automobili, e delle conseguenze sanzionatorie, tutt’altro che tenere, che dal fatto derivano. La quarta sezione della cassazione penale, con la sentenza n. 4893 del 22 gennaio 2015, si è recentemente pronunciata in relazione al caso di un soggetto colto in stato di ebbrezza alla guida d’una bicicletta.
La vicenda, per quanto, di primo acchito, possa apparire di poco conto, è tuttavia di assoluto rilievo, dal momento che, in primo grado, innanzi al tribunale di Brescia, l’imputato era stato condannato alla pena di due mesi e venti giorni di reclusione nonché al pagamento di una sanzione pari ad euro 800,00. Contro la sentenza l’imputato aveva immediatamente svolto ricorso in appello, innanzi alla competente Corte di Brescia, la quale ultima, tuttavia, aveva confermato la decisione del tribunale. Ovviamente non domo, l’imputato aveva quindi proposto ulteriore ricorso presso la Corte di Cassazione.
Il reo, in tal sede, aveva sostenuto che la normativa relativa alla guida in stato di ebbrezza fosse da applicarsi ai soli veicoli motorizzati, che il fatto di cui era imputato era da ritenersi inoffensivo e di assoluta tenuità nonché, infine, di essersi messo alla guida della bicicletta spinto dalla necessità di doversi sottrarre ad un grave pericolo alla persona, ovvero, nello specifico, di dover rincasare al più presto per fronteggiare al meglio la cefalea a grappoli di cui era affetto. Tutti i motivi di ricorso vantati dall’imputato son stati ritenuti privi di fondamento da parte della Corte. Quest’ultima ha infatti affermato che le sanzioni per guida in stato di ebbrezza si applicano anche a chi conduce veicoli non motorizzati, dal momento che la bicicletta, se condotta in stato di ebbrezza, è anch’essa, come le automobili od i motocicli, mezzo idoneo ad intervenire sulle condizioni di regolarità e di sicurezza della circolazione stradale.
A nulla, peraltro, rileva il fatto che, conducendo una bicicletta, al reo non possa essere comminata la sospensione della patente. La Corte evidenzia poi che la bicicletta così condotta crea un obiettivo e concreto pericolo per la sicurezza e l’integrità del pubblico degli utenti della strada ed è, quindi, mezzo chiaramente offensivo. Infine, la Corte ha ritenuto assolutamente inconsistente, strumentale ed infondato il richiamo dell’imputato al presunto stato di necessità relativo alla malattia dedotta in corso di processo. La Corte ha quindi confermato la sentenza già emessa nei precedenti gradi di giudizio (due mesi e venti giorni di reclusione, pagamento di una sanzione pari ad euro 800,00), condannando altresì l’imputato al pagamento delle spese processuali.
Rubrica a cura dell’avv. Stefano Savoldelli del foro di Bergamo
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