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Il mio aplomb british non ha avuto bisogno di fare la sua comparsa quando i nomi dei vincitori del premio Big Jump sono stati annunciati. Nonostante stessimo concorrendo nella stessa categoria, i romanzi a carattere storico, avevo già speso parole lusinghiere su Giuseppe Pantò e il suo incipit. Confesso subito i miei peccati. Io sono uno di quegli italiani che è rimasto impantanato delle pagine de “ Il nome della rosa”. Ho chiesto aiuto. Ho cercato appigli e solo con grande fatica sono riuscito a non sprofondare. La paura di imbattermi in un altro tomo pregno di conventi umidi e malsani, di frati incappucciati e di lebbrosi nascosti dietro ai capoverso mi ha attanagliato per diversi anni.

Ho accuratamente evitato scaffalature gotiche che hanno proposto nelle librerie tutte le declinazioni possibili del romanzo medioevale. La lettura del Cerchio del Diavolo mi è stata imposta dalla correttezza che desideravo manifestare nei confronti di tutti i partecipanti al concorso di Rizzoli. Credo di essere stato l’unico concorrente ad adempiere scrupolosamente al compito di leggere tutti gli incipit e di commentarli. Giuseppe Pantò si è posto senza prosopopea. Ha affidato il suo scritto alle acque tumultuose del contest e poi con pazienza si è seduto sulla riva in attesa.

Ho letto le prime righe e ho sentito  subito il desiderio di proseguire. Di essere lo scudiero del cavaliere Giovanni Prandi della Torre, di scorrazzare per la Milano del millesettecento, di origliare i discorsi nelle taverne, di sentire i mie passi farsi meno sicuri nell’incedere su ciottolati malmessi. L’ambientazione che è presente nell’inquietante convento è in grado di risvegliare alcune paure ancestrali ulteriormente acuite dalla figura della “bestia” che terrorizza gli abitanti del ducato e che ci riporta a un epoca dove tutto ciò che vi era di incomprensibile veniva arbitrariamente attribuito ad uno maligno, sconosciuto e rappresentato con fattezze demoniache. Il piacere della lettura di questo primo lavoro di Pantò, personalmente, mi è stato dato anche dal susseguirsi di possibili interpretazioni su ciò che il romanzo faceva presagire e che poche pagine dopo venivano smentite da fatti nuovi.

Ho ripreso contatto con un epoca che volutamente avevo abbandonato. Giuseppe Pantò è un alchimista astuto. Ha garbo. Ha la capacità innata di muoversi senza sollevare polvere e fra gli alambicchi letterari è riuscito a miscelare un elisir interessante. Non quello dell’eterna giovinezza. Non la formula tanto anelata da Re Mida, ma parole che hanno tracciato una nuova topografia. Milano è descritta così come molti di noi non l’hanno mai immaginata. È una città in evoluzione. Sta assumendo una propria identità e la scopriamo ancora imberbe, decisamente diversa da quella che i nostri occhi sono abituati a fotografare. Il cerchio del Diavolo è una grande mappa che chiede di essere esplorata per intero senza necessariamente avere come fine ultimo la scoperta di un tesoro. È il piacere della lettura che ti spinge a voler sapere ancora di più.

L’ambientazione può essere di diritto consegnata a valenti scenografi per quella che senza dubbio potrebbe essere una buona riduzione cinematografica. Ciò che maggiormente piace è la percezione dello studio che ha preceduto la stesura del romanzo. Il cerchio del diavolo è la ricostruzione di un fatto realmente accaduto. Non esistono macchine del tempo ma Pantò ha le chiavi per aprire alcune porte che danno la possibilità di affacciarsi su secoli passati. Vale la pena continuare a seguirlo. Un’unica nota è quella che vede il romanzo disponibile solo in versione e-book. Capisco le logiche editoriali, ma un bel tomo con dedica dell’autore avrebbe sicuramente trovato posto nella mia libreria … priva di fronzoli lignei gotici.

 

IL CERCHIO DEL DIAVOLO di Giuseppe Pantò. Vincitore Premio BigJump Rizzoli ed. 2014

 

Per una buona lettura si consiglia di consultare la Guida ai monasteri d’Italia e di sceglierne uno che abbia una torre di osservazione ancora aperta al pubblico.

Abbiate l’accortezza di avere con voi una mezza pagnotta di mais sponcio o rostrato. Filarino di bastardei e una fetta di zincarlin. 

 

A cura di Wiliam Amighetti

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