NON ASPETTIAMO LE LACRIME DI COCCODRILLO

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NON ASPETTIAMO LE   LACRIME DI COCCODRILLO………

 

Ho partecipato ai road show promossi da UBI Banca A Bergamo, Brescia, Varese e Milano con l’aspettativa di poter capire dalle dirette parole del presidente della banca quali saranno concretamente le modifiche statutarie di cui si parla da tempo ma invece ho solo ascoltato sfumati accenni a possibili cambiamenti che, questo il senso delle rassicuranti parole dell’ing. Moltrasio, non tradiscono lo spirito ed i principi della banca popolare.

Ho letto le cronache di stampa di quelle riunioni sperando di trovare in essi qualche approfondimento, considerazione, valutazione dei giornalisti sul tema. Anche in questo caso le mie aspettative sono andate deluse.

Sulla scia del clamore generato dalla notizia che l’altra importante banca cittadina, il Credito Bergamasco, presto scomparirà, ho pensato, ho sperato che finalmente qualche voce autorevole cogliesse il rischio che le annunciate modifiche statutarie di UBI Banca possano produrre l’effetto di allontanare la banca dal cuore dei suoi tantissimi piccoli soci e, quindi, creare i presupposti affinchè in un futuro non troppo lontano accada alla Banca Popolare di Bergamo quanto deciso per il Credito Bergamasco.

Invece, al di là di qualche lacrima di coccodrillo sulla sorte del Creberg (e preoccupano alquanto le dichiarazioni in toni positive del presidente di Banca Popolare di Bergamo, Zanetti, che possono suonare come un “mettere le mani avanti” in vista di analoga sorte di BPB) nessuno ha voluto o potuto parlare di quale potrebbe essere l’effetto sul nostro territorio di cambiamenti inappropriati delle norme statutarie che regolano i diritti dei soci di UBI Banca.

Forse perché l’”argomento banca” è noioso, perché dell’impresa-banca ultimamente si preferisce parlare solo quando non presta i soldi a chi glieli chiede. A nessuno è venuto in mente che la banca è spesso un soggetto economico essenziale per il successo o il fallimento dell’economia locale. A nessuno, ad esempio, è venuto alla mente che UBI Banca è il principale azionista del principale motore dello sviluppo della provincia di Bergamo: il riferimento è ovviamente a SACBO, la società che gestisce l’aeroporto di Orio al Serio. Nessuno ha pensato, e tantomeno ha scritto, che se il cambio delle regole della partecipazione dei soci alla vita di UBI Banca avrà l’effetto di allontanare il loro cuore, nulla impedirà domani che anche il legame tra UBI e SACBO si allenterà mettendo a rischio la stabilità dell’assetto societario di Orio al Serio ed il futuro di un pezzo importante dell’economia bergamasca.

Solo il sindacato dei lavoratori del gruppo UBI Banca e l’Associazione Ubi, Banca Popolare!  ( con una lettera ai  giornali, Enti e Amministratori Pubblici  e Privati- pubblicata anche  sul proprio sito-)  hanno  colto ed evidenziato il pericolo che può annidarsi dietro i cambiamenti annunciati dal presidente di UBI Banca, ing. Moltrasio. Dalle associazioni di impresa solo un prudente silenzio. Neppure l’associazione imprenditoriale che più di tutte dovrebbe avere a cuore il mantenimento della matrice popolare di UBI Banca è giunto alcun commento.

Tutti, questo pare, preferiscono attendere che il guaio accada, per poi versare fiumi di parole per esprimere rammarico per l’accaduto. Lacrime di coccodrillo.

 

Gianantonio Bonaldi

NOSTRA LETTERA AI GIORNALI E AGLI AMMINISTRATORI PUBBLICI E PRIVATI

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LETTERA AI GIORNALI, ALLE ASSOCIAZIONI DI CATEGORIA E AGLI AMMINISTRATORI PUBBLICI E PRIVATI

 

 

Sigg. buongiorno ,

Stupore e preoccupazione sono i sentimenti espressi da alcuni esponenti del mondo economico e politico bergamasco nelle dichiarazioni rilasciate a caldo dopo l’annuncio dell’operazione di incorporazione del Credito Bergamasco nella veronese capogruppo Banco Popolare.

Stupore perché dell’operazione non c’era traccia alcuna nell’aria; perché sono ancora bene impresse nella memoria di molti le parole con cui solo pochi mesi fa l’amministratore delegato del Banco Popolare sottolineava la soddisfazione per l’andamento del Creberg e  l’importante ruolo svolto dalla banca orobica nel gruppo scaligero.

Preoccupazione per  le conseguenze per il territorio della perdita della storica banca bergamasca, proprio nel momento in cui molti sono i problemi sul tappeto (la crisi economica, la partita SACBO/Catullo/Montichiari, l’Expo, ecc.) e forte è la necessità di poter disporre di un sistema locale robusto e determinato.

Le motivazioni alla base dell’operazione decisa a Verona sono quelle classiche: importanti risparmi di costi, quanto mai necessari in un periodo di difficoltà del gruppo Banco Popolare a sviluppare attività remunerative.  Altrettanto “classiche” le rassicurazioni che Verona ha indirizzato a Bergamo per mitigarne le prevedibili reazioni alla notizia (nel comunicato ufficiale testualmente sta scritto La fusione non modificherà il legame del Credito Bergamasco nei confronti del territorio e dei propri azionisti. Verrà creata a tal fine una specifica Divisione territoriale con sede a Bergamo e verrà istituito, in corrispondenza di tale Divisione, un Comitato Territoriale di Consultazione e Credito ai sensi dell’art. 51 dello Statuto del Banco Popolare composto da membri nominati tra soci esponenti del mondo economico, professionale e associativo dell’area territoriale del Credito Bergamasco. Inoltre, anche la Fondazione Credito Bergamasco continuerà ad operare a sostegno delle aree di tradizionale insediamento della Banca”

Tutto come da manuale, verrebbe da dire.

 La razionalità dell’operazione è di tutta evidenza. Almeno stando ai conti che si possono fare sui risparmi che discenderanno dalla soppressione delle strutture di  Porta Nuova del Credito Bergamasco. Non dichiarati invece, come normalmente avviene quando si decidono operazioni che hanno come unico o principale obiettivo la riduzione dei costi, le ricadute negative dell’operazione, non per il territorio bergamasco (chi ha deciso l’operazione sta a Verona ….), ma per la stessa banca veronese. Si sa, ma non si dice, che quando si fanno operazioni di questo tipo, progressivamente e inevitabilmente  si allentano i legami della banca con i territorio di origine. E se questo è un danno grave per il territorio, alla lunga lo è anche per la stessa banca che, perdendo familiarità e coinvolgimento con la realtà locale perde anche opportunità di lavoro, sensibilità nell’affrontare e gestire  i rischi, attaccamento e produttività del proprio personale. Ma questi sono effetti di non immediata quantificazione, che si manifestano nel tempo e non si iscrivono nel bilancio. Fenomeni quindi che lasciano tendenzialmente indifferenti gli amministratori delle banche perché difficilmente di quegli effetti saranno chiamati a rispondere.

E allora perché tanto stupore e preoccupazione per un’operazione apparentemente razionale e utile?

Forse, ancora una volta, l’opinione pubblica locale, anche quella che conta in ambito economico e politico, è stata colta impreparata dalla notizia della fusione? Impreparazione possiamo dire incolpevole quella dell’opinione pubblica in generale. Il Credito Bergamasco è una bella banca, ha i conti in ordine, è una banca di famiglia ed è quindi legittimo che i più non si aspettassero questa notizia.

Meno giustificata la sorpresa del “pubblico qualificato”, ossia gli esponenti del mondo economico e politico locale, coloro che prima degli altri dovevano rendersi conto di ciò che sarebbe potuto avvenire dopo che il Credito Bergamasco uscì dalle “mani amiche” della Curia di Bergamo  e di investitori locali per finire prima nelle braccia del Credit Lyonnais e poi del Banco Popolare.  Gruppi, questi, con testa e cuore lontani da Bergamo e quindi poco propensi a rinunciare ai vantaggi immediati che possono conseguire ad operazioni come quella annunciata dal Banco Popolare e dal Credito Bergamasco per puntare a qualcosa che forse vale di più ma di cui il bilancio non dà conto nell’immediato.

Ma ormai è cosa fatta. Ed a nulla varrebbero tardive levate di scudi a difesa della sopravvivenza di un soggetto economico così importante per il territorio bergamasco qual è sempre stato il Credito Bergamasco.

Caso mai faremmo tutti bene a preoccuparci per tempo affinché quello che accade oggi al Credito Bergamasco non accada domani all’ultima importante banca di Bergamo, la Popolare .

Crediamo  allora  che il dovere di tutti , consiglieri in primis , sia  quello di  vigilare  in occasione delle  variazioni statutarie di UBI-Banca  annunciate  nei recenti incontri con i soci,   affinchè  i cambiamenti che verranno apportati  siano   tali da non penalizzare in alcun modo  il Ruolo della Popolare sul territorio  e  dei Bergamaschi nella governance del gruppo.

 

                                                                                             Associazione  UBI Banca Popolare

                                                                                                              Il  Direttivo

INTERVENTO INCONTRO UBI BRESCIA

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BRESCIA 20 NOVEMBRE 2013

 

 

Il Pressing Bankitalia, che il Presidente ha illustrato, andrebbe indirizzato non solo alle popolari ma anche a tante banche spa che hanno situazioni “difficili” a dimostrazione che non è la forma societaria a fare la buona banca.

 

Nello specifico di UBI  per gli obiettivi che si propone Bankitalia (in particolare possibilità  di capitalizzazione, miglioramento e “rotazione”delle governance ecc . ) il pressing è male indirizzato considerati i numeri che ci sono stati illustrati, la sottoscrizione integrale di un pesante aumento di capitale in una fase in cui, come ci ha spiegato il dr Massiah, l’operazione sembrava illogica, e, inoltre,  nel contingente con 2/3 dei consiglieri al primo incarico la “staticità” della governace è stata superata.

 

Quindi va bene aggiornare statuti ma non si generalizzi , per qualcuno può essere indispensabile, per UBI meno, e non venga messa in discussione, cosa sostenuta dalla stragrande maggioranza dei soci, la sostanza della forma Cooperativa.

 

 

 

 

Domanda : tra le  possibili modifiche statutarie relativamente alla presentazione di liste  è allo studio o no l’ipotesi che  oltre a  limiti numerici di soci presentatori( attualmente 500)  questi debbano rappresentare anche  una quota minima di capitalizzazione?

Perché  se ci sarà una modifica in tal senso una semplice ipotesi dello 0,5% del capitale  richiederebbe, ipotizzando soci  tutti portatori di 250 azioni 16000 firme…. Ipotizzando un possesso medio di 1000 azioni oltre 4000 firme…  cioè l’affossamento di fatto dei principi cooperativistici che tutti dichiarano di voler preservare.

ARMANDI RENATO – Direttivo associazione UBI, banca popolare! -

ANDREA RESTI - INCONTRO UBI A BRESCIA

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IL PROF. RESTI del CDS UBI risponde a Giangiacomo Alborghetti  (membro direttivo nostra Associazione)
 
Nell’incontro di questa sera a Brescia, l’avvocato Alborghetti di “UBI, Banca Popolare!” mi ha chiesto cosa hanno fatto in questi mesi i consiglieri di minoranza e quale sia la loro opinione sulle possibili modifiche alla governance. Poiché la domanda mi è stata rivolta in pubblico, credo sia opportuna una risposta pubblica, anche se comprendo bene che il presidente Moltrasio abbia preferito non darmi la parola durante la riunione. 
In questi sette mesi, con gli altri 4 consiglieri di minoranza, abbiamo lavorato molto e parlato poco. Abbiamo chiesto e sovente ottenuto approfondimenti in relazione ad alcuni episodi (in parte anche noti alle cronache) in cui ci è parso di ravvisare possibili rischi o vulnerabilità per la Banca. Non certo per gioire di eventuali errori altrui, ma per aiutare la Banca a intercettare per tempo possibili aree di rischio (per esempio di credito, di compliance o di reputazione) da cui sarebbero potute originare perdite future. Lavorando nelle sedi competenti e con riservatezza, abbiamo cercato di convincere anche i colleghi della maggioranza del nostro sincero desiderio di lavorare per il bene di UBI, non certo per spirito di fazione o desiderio di visibilità. Non nascondo che il nostro lavoro sarebbe stato più semplice se uno di noi partecipasse al Comitato Controlli Interni; in proposito, confesso che faccio un po’ fatica a ritrovarmi nelle parole di chi afferma che la composizione dei comitati ha risposto solo a criteri di competenza e professionalità. Ma questa esclusione non ci ha impedito di porre il massimo impegno nella sorveglianza della gestione e dei possibili punti di attenzione della Banca.
Il medesimo atteggiamento, leale ma critico, è stato mantenuto nella discussione sulle modifiche alla governance. Non abbiamo nascosto i nostri dubbi verso ipotesi che, secondo quanto ricordato nei recenti incontri di Bergamo e Brescia, potrebbero imporre a molte migliaia di persone di uscire dalla compagine sociale se non disposte a pagare un numero minimo di azioni; o addirittura vietare a 500 (o 1000, o 5.000) soci di presentare una lista per l’assemblea se sprovvisti di un investimento multi-milionario nel capitale della Banca. Ma soprattutto abbiamo tentato di proporre innovazioni più incisive, anche per dare una risposta concreta ai timori – autorevolmente manifestati – di autoreferenzialità dei vertici delle banche cooperative. Tutto ciò è avvenuto senza mai forzare i toni, nella speranza di raggiungere un punto d’incontro almeno con quegli esponenti della Lista 1 che sono professionalmente cresciuti nella banca cooperativa e che si erano solennemente riconosciuti, solo pochi mesi fa, in tale modello societario. Spero che nei prossimi mesi il confronto possa proseguire su questi binari, negli organi sociali e soprattutto tra la Banca e i soci. Se le associazioni ritengono di fare proposte, ciò rappresenta a mio avviso un positivo segno di dialogo, che non dovrebbe mai essere accolto con un’alzata di spalle. 
Ero in debito di una risposta a un socio e mi è sembrato giusto pagarlo prima di andare a dormire. Di debiti puntualmente saldati, in fondo, è fatta la vita e la prosperità delle banche.
Cordialmente,
Andrea Resti
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