Con le nomine dei membri del Consiglio di Gestione e dei Comitati, varate mercoledì e giovedì della scorsa settimana, Ubi Banca ha definitivamente voltato pagina. Il percorso imposto dal governo con la legge di trasformazione delle banche popolari da cooperative in società per azioni si è compiuto e le due anime, quella bergamasca e quella bresciana, che con l’accordo post fusione del 2007 avevano dato vita a Ubi, si sono dissolte di fronte all’avanzata dei Fondi Istituzionali, portatori di nuovi e più forti interessi finanziari. D’ora in poi parlare di Bergamo e di Brescia vuol dire far riferimento al passato di Ubi. Per la verità, al termine dell’assemblea del 2 aprile qualche illusione di poter andare avanti come prima era rimasta, soprattutto nel fronte bresciano. Ma la “bocciatura” di Franco Polotti a presidente del Consiglio di Gestione, candidato designato da bresciani e bergamaschi, ha cancellato ogni dubbio su chi oggi nella banca ha in mano le leve del potere. Così, se Bergamo, in pochi mesi, pur avendo portato in dote gran parte della sua ricchezza e una capacità ineguagliata di “fare banca”, ha perso ogni centralità e non le rimane che leccarsi le ferite rimuginando sugli errori compiuti, per Brescia è finita anche peggio: proprio nel momento in cui era convinta di aver avuto la meglio sul fronte bergamasco ha dovuto incassare lo smacco più grande. E quindi addio al governo congiunto, addio “pariteticità” o “pari dignità”: Ubi ha dei nuovi padroni, i Fondi.
L’ORGANIZZAZIONE DEI FONDI
Il verdetto dell’assemblea è stato dirompente: 51 percento di voti alla lista dei Fondi Istituzionali e 48 percento alla Lista rappresentativa del “Patto della Leonessa” e del “Patto dei Mille”, cioè bresciani e bergamaschi. In altre parole, l’assemblea ha evidenziato che i Fondi, possessori del 40 percento del capitale di Ubi, non hanno alcuna intenzione di stare alla finestra. Al contrario, è emerso come si siano mobilitati in massa facendo sentire forte la propria voce, chiedendo, o meglio imponendo, una svolta e una discontinuità rispetto al passato. È apparso immediatamente chiaro che le oltre 900 deleghe conferite dai Fondi allo Studio Trevisan di Milano per rappresentarli in assemblea non possono certo ritenersi casuali, ma sono il frutto di una organizzazione complessa ed espressione di una volontà precisa, quella di non volersi limitare a essere delle comparse, ma assumere un ruolo centrale e determinante nei processi decisionali di Ubi (in tutte le grandi ex Popolari si ha la predominanza dei Fondi nel capitale e un processo simile è in atto anche con le altre banche). Il risultato della votazione ha prodotto dapprima incredulità e poi sconcerto. Di fatto ha decretato la fine del governo Bergamo/Brescia in Ubi Banca, e per gli imprenditori bresciani, convinti di esser loro a poter giocare il ruolo chiave in forza di una maggioranza che erano convinti di possedere, è stato un vero e proprio choc.
LE REGOLE DI FONDI E VIGILANZA
Il vento di cambiamento si è trasformato in tsunami con le nomine dei componenti degli organi di gestione. A dettare le regole sono stati i Fondi, supportati dagli Organi di Vigilanza e Controllo italiani (Banca d’Italia e Consob) ed europei (Banca Centrale Europea). La parola d’ordine è diventata “discontinuità” e i dettami sono stati precisi:
- No a imprenditori a gestire le banche: il governo dev’essere costituito in prevalenza da manager.
- No alla presenza nei Consigli di imprenditori che abbiano esposizioni debitore nel gruppo.
- No alla presenza di esponenti apicali che facciano parte dei patti di sindacato.
- Presenza in ogni Comitato di un esponente dei Fondi.
CHI NE HA FATTO LE SPESE
A farne le spese, come si diceva, è stata soprattutto la componente bresciana che ha sempre scelto i vertici tra i rappresentanti degli imprenditori grandi azionisti di Ubi banca (ex azionisti della Società per azioni Banco di Brescia). L’ex presidente, Franco Polotti, ha dovuto scontrarsi con i problemi di “onorabilità” sollevati dalla Vigilanza a seguito della ripetuta mancata comunicazione del conflitto di interessi esistente tra società indirettamente partecipate ed il suo ruolo manageriale in Ubi. Vista l’aria che tirava, l’imprenditore bresciano in una nota ufficiale si è detto «indisponibile ad assumere incarichi nel gruppo fino a chiarimento definitivo di alcune situazioni personali» e si è fatto da parte.
Caduta l’ipotesi Polotti, pre-accordata dai Patti della Leonessa e dei Mille, e tenuto conto della necessità di inserire almeno il 30 percento di quote rosa (quindi un minimo di 3 donne su 7), nonché di soddisfare le richieste di extraterritorialità, la scelta che per accordo spettava a Brescia, “condivisa” con la Fondazione Banca del Monte di Lombardia (primo azionista del Patto della Leonessa) e gradita ai Fondi, è ricaduta sulla figura dell’ex ministro ed ex sindaco di Milano Letizia Moratti.
I FONDI IN TUTTI I COMITATI
La scelta dei Fondi di non voler governare, ma di avere comunque l’ultima parola in tutti i campi, ha poi trovato la sua compiuta espressione nella presenza di un membro del Consiglio di Sorveglianza rappresentate dei Fondi in tutti i Comitati. In particolare, la Presidenza del “Comitato di controllo interno” è andata a Giovanni Fiori, attualmente sindaco della Banca d’Italia. Nello stesso comitato è inserita anche Patrizia Giangualano. Alla rappresentante dei Fondi Paola Gianotti è stata affidata la presidenza del “Comitato rischi” nel quale c’è di nuovo la Giangualano, presente anche nel “Comitato per la remunerazione” mentre Giovanni Fiori è anche membro del “Comitato Nomine” e Paola Gianotti del “Comitato Parti Correlate”.
LA RAPPRESENTANZA DI BERGAMO
Oltre a soddisfare le indicazioni di Vigilanza e Fondi – preoccupati di eventuali conflitti di interesse -, di affidare la gestione sempre più a tecnici e meno a imprenditori, la nomina del direttore generale della Banca Popolare di Bergamo Osvaldo Ranica nel Consiglio di gestione risponde anche a una nuova idea di banca. In questa fase di traghettamento della banca federale alla banca unica, avere all’interno della gestione un soggetto che ben conosce il motore e i punti di forza della “locomotiva” del gruppo, con i suoi 3500 dipendenti e circa 350 sportelli, è fondamentale. E poiché è imbarazzante la differenza di risultati prodotti all’interno delle banche appartenenti al gruppo (solo nell’ultimo bilancio spiccano i 127 milioni di utili generati dalla Banca Popolare di Bergamo contro i 12 di perdita del Banco di Brescia), chi meglio di Ranica, partito della gavetta e con alle spalle una vita nella banca, è in grado di presidiare Ubi, anche mantenendo e valorizzando il patrimonio umano di collaboratori della “Bergamo” e cercando di collocarlo nei punti strategici?
IL FUTURO: LA BANCA UNICA E LE FUSIONI
Il futuro appare tracciato: il nuovo piano industriale al quale il consigliere delegato Victor Massiah sta lavorando porterà con ogni probabilità entro l’anno alla banca unica, con l’accorpamento da parte della capogruppo, in una o più fasi, di tutte le banche-rete compresa la Popolare di Bergamo. Ma porterà, con molta probabilità, anche a una fusione con altre banche. Il profilo extraterritoriale della presidente Moratti, le sue molteplici esperienze in campo finanziario e politico, la sua autorevolezza riconosciuta anche in campo internazionale, aggiunta al gradimento del Governo, dei Fondi e degli organi di Vigilanza e controllo, che non hanno mai nascosto il loro favore per le fusioni, lascia pensare che Ubi non rimarrà sola ancora a lungo. La prospettiva ventilata in alcuni interventi in assemblea di avere in Italia un numero ridotto di banche di grosse dimensioni appare sempre più verosimile e vicina.
Come questo si coniugherà, con lo “spirito popolare” che a Bergamo ha fatto la storia di 140 anni di Banca, è un tema complesso, ma il mondo globalizzato impone le sue leggi. Quanto a noi, stati buoni profeti quando il 23 febbraio scorso, pubblicando una riflessione sulla Bergamo finanziaria abbiamo titolato: «Avevamo due bellissime banche».