.... LA SPARTIZIONE....?

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 CORRIERE DELLA SERA - BERGAMO 4/3/2016

Consiglio di Sorveglianza di Ubi, 
i quattro nomi bergamaschi

In corsa Moltrasio (in pole per la presidenza), Santus, Guerini e Mazzoleni

di Donatella Tiraboschi

 

Ore 16 di ieri appuntamento in Confindustria. I pattisti dei Mille entrano in assemblea. Ordine del giorno: «Considerazioni in merito alla presentazione dei candidati per il Consiglio di Sorveglianza». Più che considerazioni, prese d’atto sui nomi, sui numeri e sui rapporti di forza in campo perché entro martedì, liste e candidature della prossima assemblea di Ubi Banca, il 2 aprile, dovranno essere depositate. A meno di sorprese dell’ultimissima ora, i giochi sono praticamente già fatti, con qualche variabile che potrebbe spostare, ma di poco, le dinamiche in corso. La prima riguarda la lista che, sotto il cappello di Assogestioni, il Comitato dei gestori (che ha in Marco Vicinanza di Arca SGR il suo coordinatore-referente) proporrà. Si tratterà di una lista corta, al massimo di tre candidati,di cui una donna, che in apertura di assemblea si dichiarerà «lista di minoranza». Una precisazione, proveniente direttamente da Assogestioni, di non poco conto, che fissa un punto fermo. I fondi che detengono in Ubi oltre il 40% del capitale sociale, infatti, intervenendo in assemblea, potrebbero far valere in teoria i numeri azionari per «far saltare il banco», cioè potrebbero portare una massa di voti a favore dei propri candidati, ben oltre il 17% garantito dai due Patti parasociali consorziati.

L’assemblea sovrana potrebbe, siamo nel campo delle ipotesi, attribuire attraverso i fondi e i loro consistenti pacchetti azionari, maggiore peso alla loro lista. Ma la dichiarazione di «minoranza», scongiurerà questa eventualità. I fondi, infatti, intendono intervenire nel board di Ubi con funzioni piuttosto di controllo che di governance, a fronte di una rappresentanza variabile da una a tre poltrone. Tutto dipenderà dal quorum che la lista raggiungerà in assemblea; dal 15 al 30% gli eletti saranno due, oltre il 30% saranno tre. In quest’ultimo caso, il listone dei 15 vedrà erodere un posto, quello di chi in lista figurerà come 13esimo. A rischio impallinamento come, del resto, il 14esimo. Sicuro il siluramento del 15esimo nome. Nel listone che condenserà le varie anime, la situazione pur fluida, appare delineata al punto che la presentazione della lista potrebbe avvenire già lunedì. Comunque la si giri e la si conti, la componente bergamasca sarà rappresentata da un quartetto: Andrea Moltrasio, Armando Santus, Renato L. Guerini e Mario Mazzoleni. Tutti uscenti riconfermati, con Moltrasio in pole per la presidenza, che varrebbe per «due». Nel listone dei 15, dove per legge un terzo dovrà essere rappresentato dalla quote rosa, tolti i quattro orobici e i due candidati della due Fondazioni, Crc (con Falco in ambasce) e Monte di Lombardia, i bresciani caleranno 9 nomination, di cui un paio, si presume, «vittime sacrificali». In forse anche chi occuperà la tredicesima piazza. Acume tattico vorrebbe, almeno, che non si tratti di un bergamasco.

LETTERA DEL DR. TARICCO A L'ECO

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LETTERA DEL NOSTRO SEGRETARIO, DR. TARICCO, A L'ECO DI BERGAMO

(con richiesta di pubblicazione)

Egregio Direttore,

Ai lettori della stampa locale non sarà certamente sfuggita la coincidenza di due articoli apparsi il 23 febbraio l'uno di Silvana Galizzi (Eco di Bg ), l'altro di Ettore Ongis (Bergamo Post), che hanno messo in luce i possibili effetti negativi per il territorio derivanti della trasformazione di UBI da Cooperativa in SpA e (Ongis) anche dalla recente incorporazione del CREBERG nel Banco Popolare.

La disparità di forze emersa in tutta evidenza nell'azionariato di UBI fra la componente orobica e quella bresciana e altre componenti territoriali, oltre i Fondi, è certificata dalla scarsa consistenza del capitale azionario schierato dal Patto dei Mille rispetto a quello messo in campo dal raggruppamento Bresciano e da altri soci: un rapporto di uno a cinque che non lascia dubbi su chi avrà saldamente in mano il timone aziendale.

Nove anni fa, all'atto della fusione che diede vita a UBI Banca come società cooperativa, il rapporto di forze era inverso perché la componente bergamasca poteva contare sulla vasta galassia di piccoli azionisti iscritti a libro soci che, con il voto capitario, garantivano la prevalenza della componente legata alla Banca Popolare di Bergamo rispetto alla Banca Lombarda Piemontese. In tale situazione le responsabilità gestionali furono comunque equilibratamente distribuite tra le due principali componenti territoriali, anche se con qualche rumor sulla “regolarità” della “spartizione.”

Comunque con zelo commovente e maggioranza bulgara l'assemblea 2015 di UBI Banca deliberò la trasformazione in SpA ben prima del termine consentito del 31 dicembre 2016. I vertici di UBI motivarono la decisione con le prospettive di maggior creazione di valore a favore dei soci divenuti nel frattempo azionisti, i quali possono oggi constatare con amarezza l'infondatezza di quella scelta.

Ma oggi appare in tutta la sua evidenza che UBI verrà largamente affidata alle cure di amministratori e manager espressione della componente bresciana e la remora non nasce per motivi di campanilismo antistorico, ma dalla constatazione che in nove anni la Componente Bresciana di UBI è stata caratterizzata dall'emergere di rilevanti perdite su crediti spesati in bilancio (provenienti dal periodo antecedente la fusione), dall'azzeramento di avviamenti e dall'incapacità di esprimere (soprattutto il Banco di Brescia) risultati economici minimamente apprezzabili in contrasto con le brillanti performance della Banca Popolare di Bergamo, vera locomotiva del gruppo. Tant'è vero che il progetto di trasformare a breve il gruppo federale di UBI in unica banca risponde, a mio avviso, all'esigenza di nascondere il sostanziale fallimento di un auspicato allineamento dei risultati delle altre banche a quello della Popolare di Bergamo: di notte tutti i gatti sono bigi e dal bilancio 2016 gli azionisti non potranno più distinguere il loglio dal grano!

Il sottoscritto, nella sua veste di segretario del Consiglio di UBI,Banca Popolare! non può dimenticare lo scetticismo che accolse la nascita di questa associazione da parte dei vertici di UBI, della stampa locale, del mondo dell'imprenditoria, della politica e del sindacato per il sospetto che questo sodalizio fosse marcato dal peccato originale del campanilismo. Come se l'Associazione si comportasse alla stregua di un circolo di ultras del calcio e non avesse previsto e temuto che trasferire il controllo e la gestione della Popolare di Bergamo in altre mani avrebbe potuto costituire un grave pericolo per tutti i soggetti interessati non solo in bergamasca. Alludo a tutti quei soci, dipendenti, clienti, imprese, enti pubblici e associazioni che storicamente hanno goduto di un credito erogato con saggezza e lungimiranza in zone sempre più estese del Paese.

Produrre benessere per il tessuto sociale dei territori in cui ha sinora operato, non generare perdite di bilancio e remunerare i soci è sempre stata caratteristica peculiare dell'attività e della presenza della Popolare Bergamo. Con l'assemblea prossima è fin troppo evidente che gli organi dirigenti saranno prevalentemente espressione di quelle stesse componenti societarie che, pre e post fusione, non sono certo state esempio di buona gestione. E quanto questo possa essere negativo sul nostro territorio, al di là delle buone intenzioni dichiarate, è facilmente intuibile. Spero solo di essere smentito dai fatti.

Oggi a fronte di poche certezze (la solidità patrimoniale) molti sono i dubbi sulle magnifiche sorti e progressive di UBI, come sembra anche dalla sua “apparente” emarginazione dal risiko bancario delle fusioni: infatti può capitare, seppur raramente, che una bellezza molto corteggiata non trovi marito!

Dr. Mario Taricco

DUE BELLE BANCHE.... GIA'!

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L'EX DIRETTORE DELL'ECO DI BERGAMO.....  E PRIMA DOV'ERA?  HA SEMPRE DATO PIENO  SOSTEGNO ALL'ESTABLISHEMENT E ADESSO......LACRIME DI COCCODRILLO
 
 
 

Avevamo due bellissime banche

Il sito Dagospia esagera sempre un po’, fa parte del suo carattere, e lo fa anche quando, riferendosi al nuovo patto di sindacato siglato nei giorni scorsi dagli industriali bresciani soci di Ubi Banca, scrive senza tanti giri di parole che “la leonessa azzanna la banca di Bergamo”. Un titolo tirato, è evidente, e tuttavia, in questa metafora da giungla finanziaria, un fondo di verità c’è.

Riassumiamo per chi si fosse perso le ultime vicende: nei mesi scorsi, con un decreto legge, il governo ha imposto a Ubi Banca e alle altre banche popolari italiane con un patrimonio non inferiore agli 8 miliardi di euro di trasformarsi in Società per azioni. La differenza fra le due forme societarie è sostanziale: nelle banche popolari vige il cosiddetto voto capitario, cioè ogni socio, nelle assemblee in cui si decidono la governance e le più importanti linee di sviluppo, possiede un voto, indipendentemente dal numero di azioni di cui è proprietario; nelle Spa chi possiede più azioni ha invece maggior peso nelle decisioni, in proporzione al numero di azioni detenute. La prima forma societaria, basata sul numero di soci, ossia su singole persone e non sul numero di azioni, può a buona ragione essere definita “popolare”;  la seconda, basata, al contrario, sul pacchetto azionario di cui si è proprietari, può invece essere definita “aziendale”.

Ubi Banca, nata dalla fusione fra la Bpu – costruita intorno alla Banca Popolare di Bergamo – e la bresciana Banca Lombarda, nell’ottobre scorso ha dunque varato la sua trasformazione da Banca popolare in Società per azioni e subito dopo i maggiori azionisti, per non perdere il controllo dell’istituto di credito, hanno cercato di unire le forze creando aggregazioni nella base sociale. Così hanno fatto i bergamaschi, che all’inizio di febbraio hanno varato il “Patto dei Mille”, e così i bresciani nella settimana appena trascorsa.

Tirate le somme, i rapporti di forza sono risultati schiaccianti a favore di Brescia. Al Patto dei Mille, al momento del varo, avevano infatti aderito 65 azionisti, in rappresentanza del 2,27 percento del capitale della banca; mentre il “patto di consultazione e di voto” bresciano, è stato sottoscritto da 173 azionisti e ha raccolto un numero di azioni pari all’11,95 percento del capitale. Cinque volte di più dei bergamaschi.

Che cosa significa tutto questo? Che il peso delle decisioni in Ubi Banca pende ora tutto a favore della città della leonessa – e in futuro sarà sempre di più così se i numeri non cambieranno, ma Bergamo difficilmente potrà superare la soglia del 5 percento -, ed è ovvio che i bresciani, già nell’assemblea del 2 aprile, punteranno ad avere maggiore rappresentatività nella governance, essendo l’unico gruppo in grado di muoversi con una certa influenza accanto ai fondi di investimento, i quali possiedono il 40% delle azioni, ma che in genere non entrano nella gestione.

Evidentemente, i nostri intraprendenti cugini sono stati più capaci di “fare squadra”. Ma non solo, perché nel loro “patto di consultazione e di voto” oltre ai principali imprenditori (dalla famiglia Folonari – come persona fisica la principale azionista di Ubi -, ai Gussalli Beretta, proprietari della famosa industria di armi) ci sono anche istituzioni, enti religiosi e soprattutto soci di Ubi di altri territori. Come ha spiegato il Corriere della Sera, il nucleo dell’accordo bresciano fa riferimento “all’ex nocciolo duro dei soci raccolti nell’Associazione Banca Lombarda e Piemontese, che deteneva l’11,4% di Ubi versione cooperativa e raccoglie azionisti di Lombardia, Piemonte, Veneto, Trentino ed Emilia Romagna”. Brescia, insomma, tradizionalmente unita e coesa, si è dimostrata anche più capace di costruire alleanze. Per completare il quadro si attendono ora le decisioni della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo che possiede il 2 percento del capitale. Il suo presidente, nell’assemblea dell’ottobre scorso, aveva comunque dichiarato di voler giocare una partita in proprio.

In vista del rinnovo dei vertici, costituiti dal Consiglio di Sorveglianza e dal Consiglio di gestione, il patto bresciano ha annunciato la volontà di presentare una «propria lista» e di voler «consultarsi sulla scelta dei candidati più idonei a ricoprire la carica di membri». A tale riguardo, il Giornale di Brescia aggiunge, in maniera alquanto singolare: ”eventualmente in dialogo con altri sindacati di azionisti, come quello costituito a Bergamo”. Eventualmente. È tuttavia probabile, oltre che auspicabile, che un accordo fra Bergamo e Brescia ci sarà e che alla fine verrà presentata una lista unica, almeno in questo debutto della Spa.

Anche perché in tutta questa vicenda c’è un paradosso clamoroso: che se anziché i numeri delle azioni si vanno a vedere i risultati che le diverse banche rete hanno espresso nella recente gestione, si constata che l’utile netto consolidato del 2015 di Ubi, pari a 195,1 milioni di euro, è stato prodotto per 127,30 milioni dalla Banca Popolare di Bergamo, mentre il Banco di Brescia concorre al bilancio con una perdita di 11,20 milioni, e l’altra banca bresciana, quella di Valle Camonica, ha prodotto un utile di 3,6 milioni. È quindi del tutto evidente che i bergamaschi portano il valore, ma che se si contano esclusivamente le azioni sono i bresciani a decidere dove destinarlo. E per Bergamo c’è davvero poco di cui rallegrarsi.

Tanto più che se a questa situazione sommiamo l’incorporazione, avvenuta due anni fa, del Credito bergamasco, altra banca molto redditizia, all’interno del Banco Popolare, per noi la conclusione potrebbe essere davvero molto amara: avevamo due bellissime banche…

ATTENZIONE: Copia a scopo dimostrativo. Alcuni elementi potrebbero non funzionare.