PERPLESSITA'.....

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Ubi, le perplessità dei soci sulle 100 mila azioni per entrare nel Patto

Ma il titolo a prezzi bassi potrebbe favorire nuovi ingressi. L’invito di Moltrasio ai bergamaschi per comprare: i primi successi

di Donatella Tiraboschi

 
 
 

Unire per crescere. Soprattutto crescere. Più che uno slogan, per il neonato Patto dei Mille, il primo accordo parasociale varato dagli azionisti bergamaschi di Ubi, crescere sarà un imperativo. Perché l’arrembante denominazione, mutuata dal Risorgimento, possa tradursi in un elemento distintivo, occorre che la compagine capitanata da Emilio Zanetti, dagli attuali 65, passi, se non proprio a mille, almeno ad alcune centinaia di pattisti. Non si tratta di pura ambizione numerica. Solo con la forza dei numeri, infatti, il Patto, che attualmente raccoglie un modesto 2,27% del capitale sociale di Ubi, assumerebbe i connotati di una «pubblic company», realizzata come cita lo statuto (pubblicato, per estratto, sul sito della banca), sulla «scorta della tradizione del credito popolare».

Si raccoglierebbe così l’eredità partecipativa e cooperativa che è stata alla base della vita della banca, fino alla sua recente trasformazione in spa. Ma l’afflato idealistico, in difesa di quell’identità e preminenza della bergamaschità bancaria — rappresentata dall’essenza finanziaria e territoriale della Popolare di Bergamo trasfusasi nel Gruppo — si scontra con un altro elemento. Numerico pure quello: la soglia minima di adesione, fissata in 100 mila azioni. Su questo quorum d’accesso si registrano gli interrogativi di parte dell’azionariato bergamasco di Ubi. Si tratta di azionisti (professionisti, soprattutto) che detengono un tesoretto azionario, in certi casi anche consistente (40 mila azioni, anche con i chiari borsistici di questi tempo valgono pur sempre circa 160 mila euro), ma che vedono la «strada d’accesso sbarrata». Il presidente Zanetti, nell’intervista rilasciata ieri a Corriere Bergamo, ha ribadito che per il raggiungimento della quota vale la «forma di aggregazione di più soggetti, ad esempio i componenti di una famiglia», ma che l’asticella resta quella. Un limite comprensibile dal punto di vista del peso (se i bresciani dovessero pensare ad un ipotetico Patto della Leonessa, viaggerebbero con soglie di ingresso ben più alte e senza farsi troppi problemi): parecchi azionisti bergamaschi pensano che l’aggregazione di più soggetti sia un busillis di difficile soluzione. Si stanno chiedendo perché dovrebbero tirare in torta anche il patrimonio di moglie, figli e suoceri, ammesso di averne, per poter aderire al Patto. Men che meno penserebbero ad altre «aggregazioni» societarie con soggetti estranei al nucleo famigliare.

Certe affinità che coinvolgono trasversalmente le famiglie del resto, sono frutto di relazioni consolidate dal tempo e dalle generazioni precedenti. Certe liaison aggregative non nascono dalla sera alla mattina. Una soluzione pratica, a dire il vero ci sarebbe: comprare le azioni mancanti. L’appello lanciato dal presidente del consiglio di sorveglianza di Ubi, Andrea Moltrasio («bergamaschi comprate azioni») pare abbia riscosso un certo successo tra grandi famiglie che hanno rafforzato le loro quote azionarie in Ubi (la nomina di Matteo Tiraboschi nel direttivo del Patto ne è la cartina di tornasole) e potrebbe trovare terreno fertile. A patto (non quello dei Mille) che qualcuno abbia voglia di investire e di crederci a suon di denari. Il titolo ieri valeva 3,78 euro. A questi prezzi, puntare al quorum, potrebbe pure rivelarsi un affare.

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