MA CHE SORPRESA!!!

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Ma chi l'avrebbe mai detto... i Bresciani +  Zanetti...., ma pensa te!

Ubi, «Gestione» a trazione bresciana

Bergamo in minoranza tra le due donne e i cinque uomini alla guida della banca. A difendere la locomotiva del Gruppo sarà probabilmente Matteo Zanetti

di Donatella Tiraboschi

 
 

Non scatenerà dibattiti sulla pari dignità, né scalderà gli animi della pubblica opinione divisa nel match bancario Brescia vs Bergamo come è accaduto per la lista del Consiglio di sorveglianza. Sarà una partita, quella per la nomina del consiglio di gestione di Ubi, più defilata, più «da segrete stanze», ma non per questo meno appassionante. Anzi, decisamente più appassionante di quanto non sia stato il toto-listone, quello che gli azionisti si troveranno a votare fra quattro giorni alla Fiera di Bergamo, dove l’unica novità sarà l’ingresso, per la prima volta in assoluto, nel board di Ubi, dei fondi di investimento.

Dietro il sipario dell’assemblea, la partita per delineare i componenti dell’esecutivo (al Consiglio di gestione spetta, infatti, il compimento di tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale, in coerenza con gli indirizzi generali strategici e programmatici del consiglio di sorveglianza) è già cominciata. Le regole del gioco sono chiare, o meglio chiarite, dall’articolo 21 dello statuto della banca. Sette componenti, nominati dal consiglio di sorveglianza su proposta del Comitato nomine, facendo attenzione alle quote rosa che per legge dovranno essere rappresentate per il 30%. Dunque, due donne e cinque uomini. Questo il primo identikit del prossimo consiglio di gestione che si completa con il secondo comma dell’articolo 21, che prevede come «due componenti dovranno essere individuati tra i dirigenti apicali della societa». Con una postilla aggiuntiva: «Non si computa nel numero dei dirigenti sopra fissato il Consigliere indicato alla carica di Consigliere delegato».

 

 

 

La coperta comincia così ad accorciarsi. Un posto tra i sette spetterà di diritto al ceo, cioè Victor Massiah, mentre altre due poltrone saranno appannaggio di due dirigenti apicali. Cioè le primissime linee della banca. I nomi su cui i bookmaker punterebbero sono quelli di Elvio Sonnino, vice direttore generale vicario di Ubi e di Elisabetta Stegher, manager di estrazione bancaria bresciana (ex anca lombarda pimontese) già responsabile dell’amministrazione e del controllo di gestione, prima di diventare nel 2012 Cfo, cioè direttore finanziario della banca. In testa a tutti, perché «squadra che vince non si cambia», sarebbe il presidente uscente Franco Polotti, industriale bresciano sempre meno industriale (nei mesi scorsi si era dimesso dagli incarichi operativi e dalla presidenza dell’azienda di famiglia, la Ori Martin) e sempre più banchiere.

Ruolo che, ha ammesso, tra l’impeccabilità del suo look e la perenne abbronzatura: «mi ha preso molto». Con questi quattro nomi il poker è calato. Un poker di chiara, chiarissima estrazione bresciana - tanto per restare nell’alveo di quella territorialità che è il leit motiv ricorrente - e che, senza entrare nel novero delle professionalità e delle competenze dei singoli, ne delinea comunque la provenienza. Contano, è vero, le profilature professionali, ma sotto il Campanone l’angolo di visuale è questo. E in una prospettiva che, con l’arrivo del bancone a cui si sta dando una vigorosa accelerata, cambierà radicalmente. Non più le singole banche reti, ma un mare magnum dove performance più o meno virtuose finiranno per «annacquarsi» ed amalgamarsi tutte quante. E dove, soprattutto, spariranno i singoli consigli.

Tornando a bomba, ecco che le tre poltrone rimaste (in possibile quota Bergamo e dove necessariamente ci dovrà essere una donna) assumono un ruolo strategico.Perché, tanto per dire, la Popolare di Bergamo, la locomotiva del Gruppo, è destinata a non avere più il suo parlamentino. I tre posti disponibili nel cdg assumono il ruolo di baluardo, un fortino orobico in vista del bancone. Chi potrebbe essere chiamato a difendere la bergamaschità bancaria in Ubi? Questa è la domanda che va oltre la contingenza del momento. Perché se è pur vero che contano le professionalità, c’è anche una storia di cui tenere conto.

Se la storia della Popolare di Bergamo non è un’opinione, la strada già tracciata dalla famiglia sembrerebbe portare dritta al nome di Matteo Zanetti, attualmente nel cda di Banca Popolare di Bergamo. E già membro del cda di Commercio e Industria, carica che ha contribuito a completare il suo curriculum, rispondente anche in una più stringente griglia di requisiti, stabiliti dallo statuto. Più che una candidatura, la sua, sembrerebbe essere la possibile risposta ad un altro quesito: con il bancone in arrivo, il peso nonché la tradizione bancaria della famiglia Zanetti, che non va dimenticato è il principale azionista orobico di Ubi Spa, che fine farebbe?

LETTERA DEL. DR. MARCO GALLARATI

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Lettera del Dr. Gallarati ( Membro uscente del Consiglio di UBI ) a  L'ECO DI

BERGAMO (al momento non ancora pubblicata)

TANCREDI BIANCHI: AMMINISTRATORI INDIPENDENTI

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CORRIERE DELLA SERA 26 MARZO 2016

Ubi, le aspettative e le pari dignità

Il prossimo consiglio di gestione. C’è un difetto nello statuto sulla nomina di amministratori rigorosamente indipendenti, scelti in funzione di competenze e capacità specifiche, non correlate al numero delle azioni

di Tancredi Bianchi

 
 

 

Il vocabolario della lingua italiana, edito dall’Istituto per l’Enciclopedia Italiana, scrive alla parola dignità: «Condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto: dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e che egli deve a se stesso». Non vedo il nesso, citando una condizione di pari dignità, con il numero dei posti, assegnati a gruppi di azionisti, in un consiglio di amministrazione, salvo si tratti di amministratori indipendenti, nel qual caso, il giudizio di opinione, in merito alla scelta, di ognuno dei partecipanti alla discussione in materia, deve reputarsi espresso con pari dignità. L’occasione di tale riflessione è offerta dai commenti al caso Ubi Banca. È vero, lo statuto Ubi parla di pari dignità tra soci bresciani e bergamaschi, ma ciò non significa che in una società, in cui ogni azione abbia diritto a un voto, non abbia peso il numero delle azioni di un socio. Il difetto sta nella non previsione statutaria di nomina, in proporzione significativa, di amministratori rigorosamente indipendenti, scelti in funzione di competenze e capacità specifiche, qualità intrinseche, non correlate con il numero delle azioni di chi opera la scelta. Non si può, in ogni caso, prescindere dalla situazione in atto.

Mi sembra giustificato l’auspicio di tenere conto delle considerazioni precedenti quando il consiglio di sorveglianza di Ubi nominerà il consiglio di gestione, e non tanto in nome di una condizione di pari dignità, ma di buone regole di governance. I tempi esigono particolare attenzione quanto alla gestione delle banche, resa meno agevole da una congiuntura economica e monetaria particolare e in molti aspetti non sperimentata nel passato. Inoltre, in un contesto geo-politico instabile. Il superamento delle unilateralità e la composizione delle antitesi impone una valutazione molto equilibrata degli interessi e dei conflitti in gioco da parte di una pluralità di stakeholders. Le attese degli azionisti sono importanti, ma non possono essere appagate prescindendo da altri portatori di interessi. Le imprese tutte, e quindi pure le banche, non possono trascurare la responsabilità sociale della propria azione. Il che, l’esperienza ampiamente insegna, impone distinzione tra proprietà e management, in guisa da evitare che vengano acuiti potenziali conflitti di interesse tra una categoria e l’altra di quanti chiedono tutela delle proprie aspettative, domandando pure il rispetto della propria dignità. Credo che tutti intendano quanto sia ardua la buona governance di un’impresa.

AMMINISTRATORI INDIPENDENTI ....

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CORRIERE DELLA SERA 26 MARZO 2016

Ubi, le aspettative e le pari dignità

Il prossimo consiglio di gestione. C’è un difetto nello statuto sulla nomina di amministratori rigorosamente indipendenti, scelti in funzione di competenze e capacità specifiche, non correlate al numero delle azioni

di Tancredi Bianchi

 
 
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Il vocabolario della lingua italiana, edito dall’Istituto per l’Enciclopedia Italiana, scrive alla parola dignità: «Condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto: dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e che egli deve a se stesso». Non vedo il nesso, citando una condizione di pari dignità, con il numero dei posti, assegnati a gruppi di azionisti, in un consiglio di amministrazione, salvo si tratti di amministratori indipendenti, nel qual caso, il giudizio di opinione, in merito alla scelta, di ognuno dei partecipanti alla discussione in materia, deve reputarsi espresso con pari dignità. L’occasione di tale riflessione è offerta dai commenti al caso Ubi Banca. È vero, lo statuto Ubi parla di pari dignità tra soci bresciani e bergamaschi, ma ciò non significa che in una società, in cui ogni azione abbia diritto a un voto, non abbia peso il numero delle azioni di un socio. Il difetto sta nella non previsione statutaria di nomina, in proporzione significativa, di amministratori rigorosamente indipendenti, scelti in funzione di competenze e capacità specifiche, qualità intrinseche, non correlate con il numero delle azioni di chi opera la scelta. Non si può, in ogni caso, prescindere dalla situazione in atto.

Mi sembra giustificato l’auspicio di tenere conto delle considerazioni precedenti quando il consiglio di sorveglianza di Ubi nominerà il consiglio di gestione, e non tanto in nome di una condizione di pari dignità, ma di buone regole di governance. I tempi esigono particolare attenzione quanto alla gestione delle banche, resa meno agevole da una congiuntura economica e monetaria particolare e in molti aspetti non sperimentata nel passato. Inoltre, in un contesto geo-politico instabile. Il superamento delle unilateralità e la composizione delle antitesi impone una valutazione molto equilibrata degli interessi e dei conflitti in gioco da parte di una pluralità di stakeholders. Le attese degli azionisti sono importanti, ma non possono essere appagate prescindendo da altri portatori di interessi. Le imprese tutte, e quindi pure le banche, non possono trascurare la responsabilità sociale della propria azione. Il che, l’esperienza ampiamente insegna, impone distinzione tra proprietà e management, in guisa da evitare che vengano acuiti potenziali conflitti di interesse tra una categoria e l’altra di quanti chiedono tutela delle proprie aspettative, domandando pure il rispetto della propria dignità. Credo che tutti intendano quanto sia ardua la buona governance di un’impresa.

LETTERA DI GIAN ANTONIO BONALDI

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L'ECO DI BERGAMO 28 FEBBRAIO 2016 -LETTERA AL DIRETTORE -

Ubi, la debolezza della società bergamasca

Egregio direttore,
tre anni dopo una mia analoga
lettera che riguardava Ubi
che trovò sul suo giornale
ampio spazio, con il titolo
«Quella fusione del 2007 che
paritetica non era affatto»,
torno a lei per dire a chiare
lettere « magari fossimo
rimasti alla fusione non paritetica
». Oggi gli avvedutissimi
bresciani si stanno impossessando
di Ubi con mezzi legittimissimi
sanciti dalla trasformazione
del gruppo
bancario da cooperativa a
società per azioni e dalla
debolezza della società bergamasca
che, a numeri, è
largamente surclassata dagli
amici di oltre-Oglio. Sento dire
«noi prima li abbiamo salvati,
poi han preso di
fatto il governo di Ubi, però con
la Banca Popolare di
Bergamo, ogni anno, a supplire
con il suo bilancio a bilanci
negativi o estremamente risicati
di altri (vedere i bilanci via
via riproposti ) e adesso diventano
i padroni».
Ragionamento lineare che non
fa una grinza ma mi chiedo: chi
ha sbagliato e dove ha sbagliato
? I soci storici di Banca Popolare
di Bergamo, i clienti, gli
eccellenti dipendenti e la gente
sanno bene chi ha sbagliato. Lo
sappiamo tutti. Dove? A mio
avviso: a) apparentandosi con
partner più scafati, più capaci e
con visioni strategiche di più
largo spettro e di più lunga
prospettiva; b) permettendo
che un uomo solo diventi il
capo supremo di tutto; c) correndo,
come forsennati, a fare
una trasformazione che poteva
essere fatta fin al 31 dicembre
2016. Oggi Bergamo, e siamo in
molti dispiaciuti, perde un
altro pezzo importante, ma
molto importante, del suo
patrimonio ma questa perdita
l’abbiamo paradossalmente
voluta. Dal 1973 di fusioni nella
Banca Popolare di Bergamo ne
abbiamo viste e tutte molto
gradite dai soci e dai dipendenti
delle varie banche incorporate:
dalla Banca Popolare di
Chiari, alla Soncino, al Credito
Varesino (e Popolare di Luino),
la Ancona, la Carifano, la Popolare
di Napoli, la Banca Amadeo,
la Todi ed altre ancora. Chi
non ricorda quanto andammo
vicino a fonderci con la Banca
Popolare di Verona dell’avv.
Fratta-Pasini, fusione che poi
non andò in porto per ragioni
che a Bergamo sono bene
conosciute. Durante tutto
questo percorso, noi della
Bergamo, diventammo sempre
più patrimonializzati, sempre
più bravi nel fare affari e quindi
nel guadagnare. I soci si fregiavano
dell’esserlo, i dipendenti
erano onorati di vestire la
casacca-Bpb e i territori sui
quali la banca operava sentivano
la presenza di un partner di
fiducia. Poi abbiamo dato vita a
Bpu ed abbiamo toccato con
mano una cultura diversa dalla
nostra, molto diversa dalla
nostra sempre però tenuta a
bada dal «voto capitario» fondamentale
presenza di governo
e salvaguardia. Dal 1° aprile
2007 è andato man mano
cambiando tutto. Nell’ultima
assemblea elettiva Andrea
Resti lo diceva: sarà l’ultima
occasione. È stato facile ed
illuminato profeta e non mi si
venga a dire che l’obbligo della
trasformazione in Spa rendeva
tutto ineluttabile. Ci siamo
fatti male con le nostre mani,
non c’è verso siamo e, forse,
volevamo farci male. Il voto
capitario è morto e Bergamo
«che conta» è debole, molto
debole e «conta poco». Ah,
dimenticavo rimane la Banca
Popolare di Bergamo che continuerà
ad essere il traino per
tutta la baracca! Se va bene
così...
GIAN ANTONIO BONALDI

ATTENZIONE: Copia a scopo dimostrativo. Alcuni elementi potrebbero non funzionare.