LETTERA DI GIAN ANTONIO BONALDI
L'ECO DI BERGAMO 28 FEBBRAIO 2016 -LETTERA AL DIRETTORE -
Ubi, la debolezza della società bergamasca
Egregio direttore,
tre anni dopo una mia analoga
lettera che riguardava Ubi
che trovò sul suo giornale
ampio spazio, con il titolo
«Quella fusione del 2007 che
paritetica non era affatto»,
torno a lei per dire a chiare
lettere « magari fossimo
rimasti alla fusione non paritetica
». Oggi gli avvedutissimi
bresciani si stanno impossessando
di Ubi con mezzi legittimissimi
sanciti dalla trasformazione
del gruppo
bancario da cooperativa a
società per azioni e dalla
debolezza della società bergamasca
che, a numeri, è
largamente surclassata dagli
amici di oltre-Oglio. Sento dire
«noi prima li abbiamo salvati,
poi han preso di
fatto il governo di Ubi, però con
la Banca Popolare di
Bergamo, ogni anno, a supplire
con il suo bilancio a bilanci
negativi o estremamente risicati
di altri (vedere i bilanci via
via riproposti ) e adesso diventano
i padroni».
Ragionamento lineare che non
fa una grinza ma mi chiedo: chi
ha sbagliato e dove ha sbagliato
? I soci storici di Banca Popolare
di Bergamo, i clienti, gli
eccellenti dipendenti e la gente
sanno bene chi ha sbagliato. Lo
sappiamo tutti. Dove? A mio
avviso: a) apparentandosi con
partner più scafati, più capaci e
con visioni strategiche di più
largo spettro e di più lunga
prospettiva; b) permettendo
che un uomo solo diventi il
capo supremo di tutto; c) correndo,
come forsennati, a fare
una trasformazione che poteva
essere fatta fin al 31 dicembre
2016. Oggi Bergamo, e siamo in
molti dispiaciuti, perde un
altro pezzo importante, ma
molto importante, del suo
patrimonio ma questa perdita
l’abbiamo paradossalmente
voluta. Dal 1973 di fusioni nella
Banca Popolare di Bergamo ne
abbiamo viste e tutte molto
gradite dai soci e dai dipendenti
delle varie banche incorporate:
dalla Banca Popolare di
Chiari, alla Soncino, al Credito
Varesino (e Popolare di Luino),
la Ancona, la Carifano, la Popolare
di Napoli, la Banca Amadeo,
la Todi ed altre ancora. Chi
non ricorda quanto andammo
vicino a fonderci con la Banca
Popolare di Verona dell’avv.
Fratta-Pasini, fusione che poi
non andò in porto per ragioni
che a Bergamo sono bene
conosciute. Durante tutto
questo percorso, noi della
Bergamo, diventammo sempre
più patrimonializzati, sempre
più bravi nel fare affari e quindi
nel guadagnare. I soci si fregiavano
dell’esserlo, i dipendenti
erano onorati di vestire la
casacca-Bpb e i territori sui
quali la banca operava sentivano
la presenza di un partner di
fiducia. Poi abbiamo dato vita a
Bpu ed abbiamo toccato con
mano una cultura diversa dalla
nostra, molto diversa dalla
nostra sempre però tenuta a
bada dal «voto capitario» fondamentale
presenza di governo
e salvaguardia. Dal 1° aprile
2007 è andato man mano
cambiando tutto. Nell’ultima
assemblea elettiva Andrea
Resti lo diceva: sarà l’ultima
occasione. È stato facile ed
illuminato profeta e non mi si
venga a dire che l’obbligo della
trasformazione in Spa rendeva
tutto ineluttabile. Ci siamo
fatti male con le nostre mani,
non c’è verso siamo e, forse,
volevamo farci male. Il voto
capitario è morto e Bergamo
«che conta» è debole, molto
debole e «conta poco». Ah,
dimenticavo rimane la Banca
Popolare di Bergamo che continuerà
ad essere il traino per
tutta la baracca! Se va bene
così...
GIAN ANTONIO BONALDI