ANDREA RESTI - INCONTRO UBI A BRESCIA
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IL PROF. RESTI del CDS UBI risponde a Giangiacomo Alborghetti (membro direttivo nostra Associazione)
Nell’incontro di questa sera a Brescia, l’avvocato Alborghetti di “UBI, Banca Popolare!” mi ha chiesto cosa hanno fatto in questi mesi i consiglieri di minoranza e quale sia la loro opinione sulle possibili modifiche alla governance. Poiché la domanda mi è stata rivolta in pubblico, credo sia opportuna una risposta pubblica, anche se comprendo bene che il presidente Moltrasio abbia preferito non darmi la parola durante la riunione.
In questi sette mesi, con gli altri 4 consiglieri di minoranza, abbiamo lavorato molto e parlato poco. Abbiamo chiesto e sovente ottenuto approfondimenti in relazione ad alcuni episodi (in parte anche noti alle cronache) in cui ci è parso di ravvisare possibili rischi o vulnerabilità per la Banca. Non certo per gioire di eventuali errori altrui, ma per aiutare la Banca a intercettare per tempo possibili aree di rischio (per esempio di credito, di compliance o di reputazione) da cui sarebbero potute originare perdite future. Lavorando nelle sedi competenti e con riservatezza, abbiamo cercato di convincere anche i colleghi della maggioranza del nostro sincero desiderio di lavorare per il bene di UBI, non certo per spirito di fazione o desiderio di visibilità. Non nascondo che il nostro lavoro sarebbe stato più semplice se uno di noi partecipasse al Comitato Controlli Interni; in proposito, confesso che faccio un po’ fatica a ritrovarmi nelle parole di chi afferma che la composizione dei comitati ha risposto solo a criteri di competenza e professionalità. Ma questa esclusione non ci ha impedito di porre il massimo impegno nella sorveglianza della gestione e dei possibili punti di attenzione della Banca.
Il medesimo atteggiamento, leale ma critico, è stato mantenuto nella discussione sulle modifiche alla governance. Non abbiamo nascosto i nostri dubbi verso ipotesi che, secondo quanto ricordato nei recenti incontri di Bergamo e Brescia, potrebbero imporre a molte migliaia di persone di uscire dalla compagine sociale se non disposte a pagare un numero minimo di azioni; o addirittura vietare a 500 (o 1000, o 5.000) soci di presentare una lista per l’assemblea se sprovvisti di un investimento multi-milionario nel capitale della Banca. Ma soprattutto abbiamo tentato di proporre innovazioni più incisive, anche per dare una risposta concreta ai timori – autorevolmente manifestati – di autoreferenzialità dei vertici delle banche cooperative. Tutto ciò è avvenuto senza mai forzare i toni, nella speranza di raggiungere un punto d’incontro almeno con quegli esponenti della Lista 1 che sono professionalmente cresciuti nella banca cooperativa e che si erano solennemente riconosciuti, solo pochi mesi fa, in tale modello societario. Spero che nei prossimi mesi il confronto possa proseguire su questi binari, negli organi sociali e soprattutto tra la Banca e i soci. Se le associazioni ritengono di fare proposte, ciò rappresenta a mio avviso un positivo segno di dialogo, che non dovrebbe mai essere accolto con un’alzata di spalle.
Ero in debito di una risposta a un socio e mi è sembrato giusto pagarlo prima di andare a dormire. Di debiti puntualmente saldati, in fondo, è fatta la vita e la prosperità delle banche.
Cordialmente,
Andrea Resti