"CATTIVI" PENSIERI.....

“CATTIVI” PENSIERI …

Con due recenti articoli la stampa locale è tornata ad occuparsi del tema della governance di UBI Banca.

Il primo articolo ha dato conto ai lettori del notevole incremento dei soci di UBI Banca avvenuto negli ultimi mesi, dovuto, stando alla versione ufficiale, alla convenienza della clientela di acquisire lo status di socio della banca per poter approfittare dei vantaggi che i clienti-soci ottengono nell’utilizzo dei servizi offerti dalle banche del gruppo.

Il secondo articolo dà invece conto delle posizioni espresse dalla principale associazione bresciana di azionisti di UBI Banca, l’Associazione Azionisti di Banca Lombarda e Piemontese, presieduta dal prof. Giovanni Bazoli, presidente di Banca Intesa ed esponente di spicco del capitalismo bresciano.

Le due notizie possono apparire prive di qualsivoglia collegamento  ad un lettore poco attento alle vicende di UBI Banca. Ma, ad un osservatore che conosce le vicende passate e recenti del gruppo bancario bergamasco, e che magari è anche preoccupato dei rischi di perdita del carattere “popolare” della banca, le due notizie suscitano più di una preoccupazione. Vediamo perché.

La crescita anomala del numero dei soci di UBI Banca, in atto da alcuni mesi, potrebbe non essere il frutto di valutazioni di convenienza a divenire soci, fatte autonomamente dalla clientela della banca, ma, piuttosto, l’evidenza di un disegno preciso che punta ad aumentare il numero dei soci sostenitori dell’attuale gruppo di comando del gruppo, saldamente nelle mani dell’amministratore delegato Victor Massiah. Non sarebbe un caso infatti che la crescita dei soci di cui ha dato conto la stampa non abbia uguale  “peso” in tutte le banche del gruppo UBI, ma sia, come dicono voci interne al gruppo, proporzionalmente assai minore  in Banca Popolare di Bergamo, la cui clientela-socia si è espressa in occasione dell’ultima assemblea in modo molto critico nei confronti di chi ha amministrato il gruppo in questi anni.

Il sospetto è che siano iniziate, in sordina, opportune manovre per isolare quelle frange di soci insoddisfatti di come è gestita UBI Banca (in realtà qualcosa di più che semplici frange, visto che all’assemblea di aprile erano quasi il 50% !) e di garantire all’attuale gruppo di comando assemblee future “più allineate” alla proprie posizioni. La circostanza che il prossimo rinnovo delle cariche  sia ancora lontano (l’appuntamento è all’assemblea del 2016) non deve trarre in inganno e  far ritenere un’assurdità quanto sospettato. Infatti prima dell’assemblea per il rinnovo delle cariche sociali UBI Banca terrà un’assemblea straordinaria per apportare alcune modifiche al proprio statuto: si tratterà verosimilmente delle modifiche in parte già annunciate dagli stessi amministratori del gruppo prima e durante l’assemblea dello scorso aprile (riduzione del numero dei consiglieri), di modifiche suggerite dalle autorità di vigilanza (aumento del numero delle deleghe assembleari; introduzione del voto a distanza) e, c’è da temere, altre modifiche dello statuto che puntano ad affievolire il carattere di banca popolare del gruppo UBI Banca. Ci si riferisce  ad esempio, al  superamento del principio basilare delle cooperative in base al quale ogni socio ha un solo voto in assemblea qualunque sia il numero di azioni possedute, per passare ad un sistema “misto” che tenga conto, ai fini del voto,  anche della quantità di azioni.  Tale nuovo meccanismo aiuterebbe evidentemente chi oggi ha il comando di UBI Banca a mantenerlo anche in futuro, visto l’appoggio fornito dall’associazione soci di Banca Lombarda che annovera tra i propri 830 associati (tra questi Tassara Spa, Mittel Spa, famiglia Folonari, e molti altri nomi del capitalismo bresciano) che detengono importanti pacchetti azionari di UBI Banca. Ad oggi di tutto questo nulla si sa ufficialmente.

E che pensare dell’altra ipotetica proposta di modifica dello statuto per la quale l’esercizio del diritto di voto verrebbe subordinato al possesso di un numero minimo di azioni che anche qualora stabilito in 250 costituirebbe l’inizio dello sganciamento dal modello cooperativistico; se poi il numero di azioni, richiesto quale condizione per l’esercizio del voto, dovesse essere ulteriormente aumentato sarebbe evidente il tentativo di escludere la maggior parte dei soci dall’assemblea. Seppure allo stato attuale le azioni hanno una quotazione di mercato bassa, e quindi il loro acquisto potrebbe essere alla portata di molti, quello che qui preme rilevare è il pericolo dell’inizio di quella trasformazione del sistema oggi vigente che consente ad ogni socio di esprimere la propria opinione in assemblea, non solo attraverso l’esercizio del diritto di voto, ma anche argomentando le proprie opinioni nel corso degli interventi che, previsti prima della votazione, costituiscono l’unico momento in cui i singoli soci hanno la possibilità di motivare il proprio dissenso.

Ciò posto, come detto, nulla si sa con certezza in ordine ai progetti di modifica del sistema partecipativo, nè in ordine alla  riduzione del numero dei consiglieri che, annunciata lo scorso aprile nel pieno della campagna elettorale, sembrava cosa imminente; forse, visto il meccanismo dell’alternanza della sede assembleare tra Bergamo e Brescia, qualcuno ha calcolato più conveniente per i propri obiettivi non indire una specifica assemblea, essendo preferibile rinviare questo tema all’assemblea che si terrà a Brescia nel prossimo aprile.

E’ solo un sospetto e speriamo che si riveli infondato. Non sfugge però alla memoria di molti qualche circostanza che legittima il sospetto. Innanzitutto il fatto che UBI Banca ha due anime: quella “popolare” che si rifà alle tradizioni della Banca Popolare di Bergamo e quella capitalistica della Banca Lombarda e Piemontese, che era una società per azioni saldamente controllata da un forte patto di sindacato tra importanti azionisti, molti dei quali ancora riuniti nell’associazione Banca Lombarda e Piemontese. Le due anime trovarono formalmente unità di intenti e di visione quando nel 2007 diedero vita a UBI Banca, società cooperativa e banca popolare. I soci di Banca Lombarda e Piemontese, ed in particolare quelli che controllavano quella banca grazie al patto di sindacato, dovettero rinunciare al “peso” che derivava dalle quantità di azioni da ciascuno detenute per accettare il principio del voto capitario (ciascun socio ha sempre un solo voto) tipico delle banche popolari. Fu questa una rinuncia importante e, ovviamente, non fu fatta a titolo gratuito. Il concambio della azioni stabilito al momento della fusione tenne conto del sacrificio imposto ai soci di Banca Lombarda e Piemontese. Inoltre essi furono ulteriormente compensati da una governance paritetica, nonostante il significativo maggior valore economico e dimensionale del gruppo bergamasco rispetto al gruppo bresciano. Ai soci “bergamaschi” fu sufficiente, a quel tempo, la rassicurazione ricevuta nell’assemblea del 2007, quando di fronte alle forti perplessità espresse da taluno dei soci circa l’opportunità della fusione con Banca Lombarda e Piemontese, il presidente Emilio Zanetti affermò pubblicamente: “Garantisco io”. Chissà se oggi si sentirebbe di rinnovare la garanzia fornita allora. Questo breve excursus storico già può essere sufficiente per far venire il sospetto che a qualcuno possa venir voglia di riprendersi la prerogativa, perduta dietro compensazione nel 2007, di poter far valere i propri pacchetti azionari come, o quasi come, quando erano soci della S.P.A. Banca Lombarda e Piemontese. Se ciò avvenisse la vicenda assumerebbe i contorni di una intollerabile manipolazione, a danno dei soci bergamaschi,  dei principi in base ai quali la fusione venne recepita e votata.

Il  sospetto viene ulteriormente legittimato dalle posizioni “pro trasformazione in spa” manifestate da un’altra associazione di soci di UBI Banca, l’associazione milanese “Insieme per UBI Banca” che in tal senso si espresse prima dell’assemblea dello scorso aprile per bocca del proprio consigliere Rittatore Von Willer.

Forse è prematuro allarmarsi. Tuttavia il rischio di manovre intorno e dentro UBI Banca esiste è concreto ed è stato più volte paventato. Ogni attesa è inutile ed è necessario che tutti i soci,  che sono contrari alla trasformazione di UBI Banca in società per azione o a modifiche delle regole del voto, che allontanino la banca dai principi del sistema cooperativo e dalla tradizione di Banca Popolare di Bergamo, si attivino immediatamente,   per non pentirsene domani,  al fine di prevenire ogni variazione statuaria del tipo sopra indicato. Il mondo della cooperazione, che oggi è rappresentato nel consiglio di Banca Popolare di Bergamo da un suo esponente di spicco, tenga presente questo rischio e si adoperi per impedire che si concretizzi.

 

ASSOCIAZIONE UBI,BANCA POPOLARE!

LETTERA AL GIORNALE DI BRESCIA

Dott. Scanzi  buongiorno;
sono Francesco Massetti , vice presidente della Associazione UBI , Banca Popolare ! .
Mi rivolgo a Lei in quanto  ho riscontrato che , sul giornale da lei diretto , tutto quanto riguarda il mondo Ubi Banca e dintorni fa direttamente capo  al Direttore.
Diverse volte ho tentato di contattarla , ma senza risultato alcuno  . Francamente l'argomento in questione é importante e per questo più volte ho cercato anche la via indiretta  , ma sempre senza successo . Mi trovo così  costretto a ripropormi  ricorrendo  ad una email direttamente al suo indirizzo .


La mia richiesta è molto semplice , e credo anche molto giusta : come Lei certamente sa , la nostra associazione rappresenta quella minoranza, molto numerosa , che si è  espressa nella assemblea UBI Banca  dell' Aprile scorso . Noi riteniamo che almeno sui territori di riferimento di UBI Banca (come per l' appunto la provincia di Brescia)  la testata  principale abbia il dovere di darle un minimo di attenzione.  E questo il suo giornale fino ad ora non lo ha fatto !

Le chiedo quindi  con rispetto ma anche con determinazione di  portare sul suo Giornale un minimo di informazione sulle posizioni di tanti  soci, anche suoi lettori, che si sono espressi tramite il consenso alla lista UBI.banca popolare! 

 

Confidando nella sua professionalità la informo, per correttezza, che la presente verrà pubblicata sul nostro sito e inserita nella news lettera destinata  ai sostenitori della nostra associazione .

La ringrazio per l’attenzione e Le porgo cordiali saluti 

francesco massetti

 

Il nostro sito

www.ubibancapopolare.org

RIFLESSIONI SULLA SEMESTRALE

UBI, RIFLESSIONI SULLA SEMESTRALE

Passata l’euforia degli annunci, ben sapendo che gli uffici stampa delle grandi banche sanno fare il loro mestiere e hanno solidi argomenti da spendere con i media, si può fare qualche ragionamento più approfondito sui risultati della nostra UBI.  Non solo sui numeri, ma sul significato e sulle origini dei numeri stessi.

La premessa è che tutti noi abbiamo un genuino interesse a che la banca vada sempre meglio; senza fini di potere, volendo capire tutto il quadro e non solo commentare le parti vuote o piene del bicchiere, secondo convenienza.

Innanzitutto, la banca è solida. E’ un dato di fatto. Ma lo è sempre stata, soprattutto per una certa parte del gruppo e il merito affonda le radici nel passato. Nel presente, il merito è delle tasche dei soci che nel 2011 hanno sottoscritto 1 miliardo di Euro di aumento di capitale.

Il merito di amministratori e top management è stato quello di chiedere i soldi per tempo, convincendo il mercato con piani che, per il 2013, promettevano 700 milioni di utile netto. Vero è che se tali previsioni sono ben lontane della realtà, la colpa sta nello scenario esterno. Ma qualcuno quelle previsioni le ha pur fatte sue.  E poi, se i risultati eccellenti dipendono solo dello scenario esterno, a che serve l’azione del top management? Per lavorare e guadagnare qualcosa sui servizi, sui conti correnti, sul business ordinario e sulla raccolta investita in titoli di stato, bastano gli impiegati e i funzionari.  Da tanti super dirigenti è invece lecito aspettarsi di più, anche se lo scenario cambia e diventa difficile.

Banca solida, dunque, ma merito al vero merito e non prendiamo troppo sul serio gli indici.

Gli indici sono infatti il risultato di un banale rapporto: sopra il patrimonio, cioè i soldi dei soci; sotto, le varie attività della banca, che dipendono dalle politiche di gestione. Troppo facile migliorare gli indici di solidità chiedendo nuovi soldi ai soci e, al contempo, abbassando gli impieghi e i finanziamenti ordinari alla clientela e aumentando i titoli di stato. La fotografia istantanea sembra bella, ma se il film continua così, il conto economico muore; e tra gli attivi emergono gli impieghi peggiori, quelli che i clienti non possono rimborsare, diventando sofferenze e perdite. Se non si fanno ruotare gli impieghi con nuovi prestiti (di qualità adeguata), è inevitabile vedere aumentare l’incidenza delle sofferenze.

UBI non ha mai avuto problemi seri di patrimonio, anche se alcune grandi partite, definite “strategiche” o piuttosto “politiche”, dalle perdite sulle azioni di Intesa e quelle su grandi clienti  finanziati troppo amichevolmente, ne hanno bruciata una bella fetta.

Qualche problema, per fortuna ora superato, c’è stato anche sulla liquidità. Ma questo è avvenuto  perché alcune parti del gruppo prestavano troppo o troppo aggressivamente, rispetto a quanto raccoglievano dalla clientela ordinaria. Lo squilibrio era cosa nota, ma nessuno ne ha mai chiesto conto. Forse perché faceva comodo, ad alcuni consiglieri e manager, mostrare e paragonare le dimensioni; grandi si, ma con basi più fragili. Ma se gli amministratori non stanno attenti agli equilibri fondamentali, che ci stanno a fare?

Cose passate? No, perchè l’andamento insoddisfacente dei nuovi impieghi del presente è anche figlio di quelli eccessivi o avventati del recente passato, che ora obbligano alla dieta.

Da persone certamente intelligenti e professionali, oggi non guasterebbero un po’ di autocritica, di onestà intellettuale e un po’ meno opportunismo. I numeri 2013, al limite della sufficienza, vengono invece passati come un nuovi meriti, quando invece sono il rimedio di errori strategici piuttosto recenti e abbastanza evidenti.

Siccome le banche si nutrono di credibilità e di fiducia verso clienti e azionisti, il riferimento all’onestà intellettuale non è solo retorica o etica da salotto.

Autocritica e credibilità servono davvero, anche per fare ripartire il business e il conto economico, dalle fondamenta, dalla motivazione delle persone, anche nei ruoli più modesti.

E’ velleitario chiedere di cambiare pagina e di ripartire con entusiasmo, se chi dovrebbe dare l’esempio non cambia sostanzialmente, con fatti concreti. Se le seconde file e il management di linea, cioè quello delle banche reti, ha dimostrato di fare bene, talvolta anche meglio dei giocatori titolari che dirigono la capogruppo e gli staff, si potrebbero anche invertire i ruoli.  Spostare il top management per scelte di merito, invece che attenersi ai circoli di fedeltà, è un tema strategico, su cui gli amministratori sembrano ancora in ritardo. E se non sono i presidenti a muovere con coraggio qualche passo, anche al costo di rompere alcuni equilibri e di perdere qualche consenso consolidato o negoziato di recente, è difficile che si sacrifichi spontaneamente qualcuno al piano di sotto. Se poi i risultati non dipendono solo dagli scenari esterni, ma dalle persone, si deve avere più coraggio di fare circolare aria nuova anche attraverso le nomine. Non però nel senso di utilizzare le nomine per acquistare sostenitori in modi che, almeno in passato, erano prerogativa di altre banche, più abituate ad ospitare la politica.

Cosa c’entra tutto questo con i numeri della semestrale?

C’entra eccome, perché i numeri di una banca sono enormi, ma proprio per questo abbastanza facili da manovrare nel breve. Non si può, invece, eludere o negare altrettanto facilmente l’evidenza dei trend di fondo.

Nel breve, bastano una plusvalenza, una campagna su prodotti che generano più commissioni  immediate, una certa valutazione sugli accantonamenti, un po’ di finanza, e gli utili escono sempre. Anche nella semestrale 2013 ci sono 100 milioni di utili finanziari, su 52 totali; ma gli utili sui BTP, nel 2012 e parte 2013, sono stati capaci di farli tutti.  Nel medio termine, invece, tutto cambia.

Le banche rete, chi più, chi meno, guadagnano, ma un termini troppo disomogenei, non solo per ragioni geografiche. Questo significa forse che la holding non ha saputo allocare in modo adeguato le risorse umane, organizzative e finanziarie tra le diverse aree strategiche e di prodotto?

Da qualche anno, non certo da oggi, il mercato e gli analisti più attenti dicono che UBI è debole sulle gestione dei ricavi.  Di fronte al calo degli impieghi non si può però sempre e soltanto dire che “il cavallo non beve”.  Chi è bravo, quantomeno, sottrae quote di mercato ai concorrenti. E dentro il gruppo c’è chi sa i cavalli che bevono trovare, anche con la crisi.

Se invece non sono errori di allocazione di risorse, sono forse la struttura della holding o quella “federata” del gruppo (non la forma cooperativa) che non consentono di decidere con efficacia? O forse costa troppo, visti i tempi, mantenere tante funzioni di staff (e di potere). Sarebbe interessante conoscere più dettagli sui tagli di costi, che sono stati importanti. Tagli lineari, in periferia o al centro?

Tante domande, ma oggi ai vertici di UBI pare più facile mostrare che si rafforzano gli indici patrimoniali e fare il conto economico tagliando i costi. Ma da quanti anni si sta facendo solo questo? E perché nessuno comunica con chiarezza su cosa intende puntare il gruppo UBI nei prossimi 3-5-10 anni, mettendoci faccia e ruolo?

Chi gestisce UBI ha in custodia circa 10 miliardi di Euro di patrimonio (almeno contabile), nell’interesse di decine di migliaia di soci e di milioni di clienti. Fare 100 milioni di utile all’anno – che pure sembrano tanti – è certo meglio che perdere. Ma guadagnare solo l’1% sul capitale di rischio non è certo un successo da sbandierare per chi fa impresa o fa il top manager; senza scomodare la misurazione dell’EVA o chiedere lumi a consulenti stile McKinsey, tanti soci capiscono da soli che così, alla lunga, si distrugge valore. 

INTERVISTA ALL'ING. MOLTRASIO - LA NOSTRA LETTERA AL CORRIERE

LETTERA AL CORRIERE-BERGAMO                                               28 Giugno 2013

Gentile  Direttore,

avendo a cuore gli interessi di UBI Banca e pensando che il pensiero della nostra associazione rispecchi quello di molte migliaia di soci, ci vengano consentite alcune annotazioni sui contenuti dell’intervista rilasciata dall’ing.Moltrasio, nuovo presidente del consiglio di sorveglianza, ma da molto tempo rappresentante di vertice di UBI, in diversi organi di amministrazione e gestione del gruppo.

ATTENZIONE: Copia a scopo dimostrativo. Alcuni elementi potrebbero non funzionare.