JANNONE -Richiesto rinvio a giudizio-

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Ubi, «Jannone sulle firme ricattò
la lista Resti». Chiesto il processo

L’ipotesi della procura, udienza a settembre. Parti offese il notaio Vacirca e Doriano Bendotti

di Donatella Tiraboschi e Giuliana Ubbiali

 
 

Intanto, a settembre, Giorgio Jannone comparirà davanti al giudice dell’udienza preliminare per tentata estorsione. Il pubblico ministero Fabrizio Gaverini ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ex deputato azzurro. Due le parti offese. Una è il notaio Giovanni Vacirca, di Bergamo, per il quale nel frattempo il pm ha chiesto e ottenuto dal gip Tino Palestra l’archiviazione del fascicolo (stralciato) con l’ipotesti di falso di una decina su un centinaio di firme autenticate per la lista di Andrea Resti, allora in lizza per il Consiglio di sorveglianza. L’altra è Doriano Bendotti, tra i principali sostenitori della lista Resti. Secondo l’accusa, Jannone li pressò perché venisse ritirata: «Altrimenti dico che le sottoscrizioni non sono state raccolte in modo regolare», è il tenore del presunto ricatto.

 

Per capire la vicenda bisogna fare un salto indietro di due anni. Per il rinnovo del Consiglio di sorveglianza si presentano tre liste: quella del presidente Andrea Moltrasio, «Ubi Banca ci siamo!» guidata da Jannone e «Ubi, Banca Popolare!» capeggiata da Resti. Poi, colpo di scena, in assemblea Jannone ritira la propria e appoggia la terza. Non servirà a prendere il comando del consiglio, che resterà nelle mani dei vertici uscenti con 7.318 voti su 13.559. Jannone non ci sta. Con un esposto alla Banca d’Italia, alla Consob e alla procura denuncia presunte irregolarità. È anche da qui che partono i due filoni di indagine della Finanza (pm Fabio Pelosi), che ha rivoltato come un guanto gli uffici della banca. Uno riguarda i presunti patti occulti per consentire ai vertici storici di manovrare le nomine degli organi societari, dei comitati interni e delle società controllate. L’altro punta il faro proprio sull’assemblea del 2013 con l’ipotesi che una parte dei voti fu pilotata attraverso il meccanismo delle deleghe in bianco. Nel frattempo il pm Gaverini che indaga sull’omicidio di Agostino Biava si imbatte nella questione Jannone—notaio. Le due vicende non c’entrano nulla. Solo che la vittima viveva nel cascinetto della Pigna, le cartiere di cui Jannone è amministratore unico. Il magistrato ha spunti per la nuova indagine. Interroga 100 persone, le cui firme sono state autenticate dal notaio: non emergono irregolarità. Vacirca, difeso dall’avvocato Beniamino Aliberti, allora resta indagato per un’altra decina di firme. Poi il pm conclude che, per quanto raccolte da altre persone, sono state autenticate in buona fede. Giuridicamente manca l’elemento psicologico del falso.Da qui l’archiviazione. «Un amico mi chiese la disponibilità, che ho dato per due mezze giornate — commenta il notaio —. Peraltro, le 500 firme necessarie per presentare la lista erano già state raccolte. Quelle autenticate da me erano in eccesso. Ero sereno prima, ora lo sono di più». Jannone, sentito dal pm, ha escluso ogni scenario estorsivo. Ha invece rimarcato la sua volontà di far emergere le irregolarità. Ora, assistito dall’avvocato Enrico Pelillo, dovrà convincere il giudice.

 
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