AFFARI & FINANZA 5 MAGGIO 2014

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Ubi, al voto la nuova governance più forza al capitale, meno alle teste

DOPO LA SCREMATURA DEI 20 MILA MICROSOCI CON QUOTE INFERIORI ALLE 250 AZIONI ARRIVANO LE REGOLE CHE RENDONO PIÙ DIFFICILE PRESENTARE LISTE E FAVORISCONO IL FORMARSI DI UNA SOLA MINORANZA MA FORTE E PREMIATA IN CDA

Vittoria Puledda

 

Milano U n anno fa l’afflusso dei soci quasi paralizzò gli svincoli autostradali di accesso a Bergamo. Quest’anno dovrebbero essere meno, ma certo non saranno pochi, a giudicare dai biglietti assembleari richiesti (circa 15 mila, per l’appuntamento di sabato) il che dovrebbe corrispondere a poco più della metà di presenze (tra persone fisiche e deleghe). Insomma, la riforma dello Statuto dell’Ubi sembra scaldare meno della competizione fra le tre liste, andata in onda la volta scorsa per il rinnovo del consiglio di vigilanza. «Noi voteremo contro, ma certo il voto palese non favorirà la nostra posizione », spiega Francesco Massetti, vice presidente dell’Associazione Ubi, banca popolare!, che come dice la parola stessa è l’ala più vicina alla parte popolare (e bergamasca) di Ubi e di conseguenza più lontana dalle logiche bresciane e “bazoliane”, come sintetizzano in molti. Sta di fatto che tra meno di una settimana, quando si andrà a votare la riforma dello Statuto, le novità che dovrebbero venire approvate non sono di poco conto. E sono state precedute dalla “ripulitura” del libro soci, che ha portato alla cancellazione di circa 20mila iscritti, tanti erano quelli che non avevano più il lotto minimo di azioni (250) e non l’hanno ripristinato in questo periodo. Le modifiche allo Statuto (un centinaio) vertono su alcuni punti qualificanti e altri di routine: ci sono l’innalzamento del numero delle deleghe

da tre a cinque e i criteri più selettivi di indipendenza e professionalità per la nomina dei consiglieri, nonché la riduzione dei membri dei consigli (da 23 a 17 la sorveglianza e da 11 a 9 la gestione). Modifiche che, se approvate, entreranno comunque in vigore con i prossimi consigli, nel 2016. Passaggi importanti ma non epocali; i veri nodi sono due: le modalità di presentazione delle liste e il “premio di minoranza” (con il corollario della presenza dei fondi di investimento). Il primo punto, l’unico sottoposto alla maggioranza qualificata (un ventesimo dei soci, e dunque circa 3.750 voti, e il 20% del capitale) è tra i più qualificanti: prevede infatti che le liste per il consiglio di sorveglianza possano essere presentate da chi conta almeno 500 soci e il 20% del capitale; entrambi i requisiti, mentre prima bastava averne anche solo l’uno o l’altro. Il che significa che per presentare una lista occorre un pacchetto di titoli pari a circa 25-30 milioni (ai prezzi attuali di Borsa) oltre a dover rispettare il parametro capitario (500 soci); insomma, un criterio misto, per dare rilievo al “capitale umano” ma anche a quello contabile, un argine alla presentazione di liste da parte di chi rappresenta molte persone ma poco impegno economico nella banca. Giusto, sbagliato? Certamente un segnale di attenzione nella direzione di una struttura più sensibile alle regole della finanza e del mercato e meno alla cooperativa “pura” (sempre che questa sia a sua volta compatibile fino in fondo con le leggi di Piazza Affari). Il nuovo Statuto prevede anche un premio “di minoranza” per la lista che arriva seconda (la terza continua ad essere esclusa dall’assegnazione di posti in consiglio) a patto che abbia voti pari a più del 10% del capitale e più della stessa lista di maggioranza, anche se in termini di voti capitari si ferma prima, anche molto prima: nel caso estremo (meno del 15% dei voti, più del 10% del capitale e più capitale della lista che ha la maggioranza come numero di voti) alla lista che arriva per seconda andrebbero 5 consiglieri di sorveglianza su 17. Ancora una volta un modo per stemperare il concetto del voto capitario alla luce del socio di capitali; che, nel caso di Ubi, ha una rappresentanza piuttosto corposa, dalle due Fondazioni (Cassa di risparmio di Cuneo e Banca del Monte di Lombardia, che insieme hanno il 4% della banca) alle molte famiglie industriali di Brescia (e di Bergamo), raggruppate in varie Associazioni, di cui la più potente è sicuramente l’Associazione banca lombarda e piemontese, che tradizionalmente ruota intorno alla figura di Bazoli. La svolta dovrebbe andare nella direzione voluta da Bankitalia, che non perde occasione per sottolineare l’importanza per le popolari quotate di adottare modelli di governance più vicini alle società per azioni, ma che non convince tutti, all’interno della popolare orobica. «Da studioso della materia direi che è importante che le popolari, pur non essendo scalabili restino in qualche misura contendibili», dice Andrea Resti, professore di Economia ed eletto nelle liste di minoranza al consiglio di sorveglianza di Ubi, «insomma che le modifiche proposte non ingessino troppo gli assetti di controllo».

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