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GAZZANIGA: Lettera al direttore Stampa

Padroni a casa nostra

Finalmente ho capito il vero significato.

Caro Direttore, nonostante abbia “preso in prestito” questo interessante slogan non ho intenzione di scriverle dei delicati problemi legati alla convivenza di etnie e culture diverse fra loro, ma ho intenzione di raccontarle l’esasperazione di un cittadino al quale è stato tolto il diritto di godere a pieno della propria casa.

 

Da chi? Da coloro che pensando di essere padroni del territorio vorrebbero arrivare ad imporre il loro diritto di proprietà (sembrerebbe quasi un diritto naturale) in toto, anche dove in teoria, almeno secondo la Costituzione e il Codice Civile, non potrebbero farlo.

Quella che sto per raccontarle è una storia che sembra uscita da un libro di storia, o dai “Promessi Sposi”, ambientata in un paese feudale dove la proprietà assoluta della terra appartiene a pochi che ne possono disporre a proprio piacimento e dove le minacce e i soprusi contro coloro che osano opporsi sono una naturale parte integrante del sistema.

Gazzaniga, Anno Domini 2010, “2° Orobic Fest”.

Gli antefatti sono abbastanza comuni, cose già viste da tutti quelli che hanno la sfortuna di vivere in un’area che periodicamente viene dedicata a feste di paese male organizzate. Musica a volumi insopportabili (anche oltre la mezzanotte), chiamate ai Carabinieri, che non sempre possono intervenire (purtroppo ci sono problemi ben più gravi da risolvere), bottiglie vuote in giardino e bicchieri sui muretti, a volte vuoti, a volte semipieni, a volte di birra, altre volte di fluidi corporei meno piacevoli della birra, urla, schiamazzi e quant’altro.

Ma fin qui nessuno si stupisce, “Dura solo dieci giorni”, dicono alcuni, “Sono ragazzi”, dicono altri, “Almeno qualcuno organizza qualcosa in questo paese morto”, dico io stesso; e si chiude un occhio, fin dove è possibile, e si porta pazienza, confidando nel buon senso e nella civiltà degli altri.

Poi arriva la svolta. Ieri sera, erano circa le 23.45, io e mia moglie rincasiamo da una cena. Fa caldo, abbiamo i finestrini abbassati. Arriviamo in auto alla rampa che conduce al cancello del palazzo dove abitiamo, e la troviamo letteralmente invasa da uno dei tanti gruppi di “giovani” (non stiamo parlando dei soliti adolescenti di cui si dice tanto male, ma di trentenni che sicuramente non si trovano al loro debutto in società e che da tempo hanno passato il periodo degli sbalzi d’umore dovuti agli ormoni, quella che i nostri nonni chiamavano “la stupidera”) che si sono radunati per festeggiare.

Aspettiamo, nessuno si sposta; chiediamo di farci passare, loro sono infastiditi dal doversi spostare, veniamo insultati mentre saliamo sulla rampa; mi fermo per fare scattare l’apricancello, ci rovesciano addosso e in macchina, attraverso un finestrino abbassato, un bicchiere di birra (sperando fosse birra e non uno dei bicchieri semipieni di “altro”).

Riusciamo ad entrare, attraverso il cancello chiuso volano insulti e minacce. Saliamo in casa, chiamiamo i Carabinieri, siamo sconcertati … cosa sta succedendo?

Poi l’illuminazione. PADRONI A CASA NOSTRA. Certo, è ovvio. LORO sono padroni a casa NOSTRA! Adesso sono LORO che comandano, più chiaro di così non si può. Il territorio è loro, ne dispongono a proprio piacimento e il popolo deve sottomettersi.

Spero che la mia storia le sia piaciuta e che la possa pubblicare, caro Direttore, sappia che per averla scritta e spedita sto rischiando seriamente di finire nelle segrete del Castello con tutta la mia famiglia.

Pierangelo Paganessi

 

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