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Settore tessile: una crisi annunciata da tempo Stampa

Al di là della crisi economica internazionale, il “buonismo” che sta accomunando tutti i cosiddetti “soggetti interessati” del settore meccano-tessile non è una soluzione per uscire dal tunnel. Servono idee, voglia di fare e ...... molta meno burocrazia

La Val Seriana tuteli le aree manifatturiere. Questo uno dei titoli di giornale che nello scorso dicembre campeggiavano nelle locandine distribuite nei paesi della Val Seriana. Ma altri, molto più incisivi, parlavano di cortei per chiedere aiuto, di veglie in chiesa per una grande patto di solidarietà, per non lasciare sole le famiglie, per sostenere le famiglie dei lavoratori in cassa integrazione.

A più voci, a più riprese, in tante occasioni, gli enti locali e le istituzioni, come pure le organizzazioni di categoria e i sindacati in genere, sono corsi al capezzale del settore tessile, pronunciando proclami di aiuto morale, di sostegno economico, di vicinanza alle famiglie, di solidarietà nel momento del bisogno. Tante belle parole, tante occasioni di incontro condiviso e partecipato, tanti momenti di confronto, “per mettersi insieme per sostenere la ripresa”, “per arrivare a un patto anticrisi”, “per mettere i campo strategie per rilanciare la ripresa”…Ma, a ben guardare, alla fine, sono solo parole, lanciate da quegli stessi enti ed organismi, Comuni e Comunità Montane, che una decina di anni fa paventavano l’imminente arrivo della crisi del tessile: un film già visto, insomma. Anzi, allora era un’anticipazione del film, un trailer come dicono adesso in televisione, mentre ora è il lancio del film, peraltro in tutte le sale, cioè in tutti Comuni della valle. Un film, peraltro, già ben documentato in anni di previsioni e profezie, cioè di indagini settoriali e parafrasi di letteratura economica, ma che mai nessuno dei soggetti interessati, quelli che poi oggi sbandierano la crisi, la solidarietà, la ripresa, il rilancio, ha preso di petto monitorando il reale stato di salute del settore tessile. Come dire, si era scoperta la malattia ma non si erano date in maniera preventiva le medicine per scongiurarla; come dire, so che esiste il bubbone, ma siccome non fa ancora così male, cerchiamo di resistere al dolore. E in questa situazione, di persone con le mani sugli occhi o sulle orecchie si sono trovati protagonisti tutti i soggetti che oggi fanno i tromboni: dagli imprenditori agli operai, dagli enti locali ai rappresentanti di categoria, dai politici ai sindacati. E ci sarebbe da andare avanti nella disamina, ma non lo facciamo, perché sarebbe come tagliare il burro con un coltello…

Scoperchiamo, invece, il buonismo che sta accomunando tutti i cosiddetti “soggetti interessati” e invitiamo loro a riguardare indietro negli anni, a vedere se lo stesso atteggiamento di cura e attenzione alla crisi del tessile è stato manifestato per altri settori produttivi, per l’edilizia, per esempio, altro settore che qualifica la Val Seriana, per la meccanica, per l’agricoltura, per la zootecnica, per l’artigianato in genere, per il commercio al dettaglio…No, qui si diceva, e si dice tuttora, che la crisi è “temporanea”, “congiunturale”, “passeggera”, che bisogna investire nella qualità, nella professionalità, nella formazione, nella diversificazione dei prodotti, nei servizi,…

Ma intanto i muratori si alzavano, e si alzano ancora, alle 5 del mattino; gli agricoltori non conoscono orari; i pastori non sanno cos’è la sveglia (nel senso di orologio), in piedi come sono tutto il giorno; gli artigiani, i commercianti, i negozianti si fanno in quattro e si inventano mille strategie di fidelizzazione per resistere alla crisi della standardizzazione dei prodotti, che avanza anche grazie al silenzio o alla connivenza dei cosiddetti “soggetti interessati” (vedi le convenzioni in molti nostri paesi con i leader della grande distribuzione).

Ebbene, è crisi del tessile? Lo si sapeva, questa è la risposta cruda che è da dare. Ma cosa si è fatto in questi anni? Indagini, rilevazioni, studi tematici e sistemici…

Ma, in verità, i “soggetti interessati” cosa hanno realmente fatto per inquadrare i bisogni, verificare le tipologie di insediamento produttivo, conoscere gli orientamenti di mercato, sondare le attività in cui investire, incentivare le attività innovative, e più in generale valorizzare il territorio? Intanto, sempre dai giornali si legge “Si spera nel miracolo”!!!

La riconversione è possibile: l'hanno già fatto altri. Senza andar lontano prendiamo, per esempio, il distretto “casalingo” di Lumezzane e tutta la Val Trompia. Fino agli inizi degli anni '80, lì era tutto un fiorire di industrie del settore: chi faceva piatti, chi posateria, chi pentole..... Poi, l'arrivo della Grande Distribuzione con l'imposizione dei prezzi, l'apertura delle frontiere, lo sgretolamento del social/comunismo e la conseguente possibilità di andare a produrre a costi irrisori........ A distanza di pochi anni sono rimaste solo tre o quattro grosse aziende del settore casalingo: gli “altri” si sono re-inventati. Ora vi sono aziende che operano nei settori della metallurgia (acciaio, ottone, rame, alluminio) e della plastica, produce per il mondo, con punte di eccellenza assoluta in alcuni settori, come lo stampaggio a caldo, la manifattura di rubinetteria e valvolame, la produzione di stampi e attrezzature. Vi sono anche degli allevamenti di struzzi...!

Certo, aprire una piccola società anche solo una decina di anni fa, non è come farlo adesso: troppa burocrazia, troppe lungaggini, troppe difficoltà e troppe leggi a cui sottostare. Senza disturbare i “governanti nazionali”, almeno a livello territoriale cerchiamo di snellire ciò che è possibile ed aiutare veramente chi cerca in tutti i modi di evitare la crisi re-inventandosi in un settore diverso dal tessile!

Andrea Bonomi

 

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