COLZATE: Il roccolo “Bertò” tra i 23 riaperti nella bergamasca |
Le reti sono state alzate nei giorni scorsi, in occasione della riapertura della stagione venatoria, conferendo nuovamente ai roccoli una presenza di importante funzionalità Ha riaperto la stagione venatoria e, anche quest’anno, la Regione Lombardia ha approvato il “piano di cattura dei richiami vivi” e, insieme a questo, ha presentato anche i roccoli necessari per questo tipo di attività, funzionale al rifornimento per i capannisti. Tra i 23 roccoli che la Provincia di Bergamo ha potuto attivare all’interno del piano di cattura regionale, a fronte dei 57 attivati sull’intera Regione Lombardia, si annovera anche il roccolo “Bertò” di Colzate, di proprietà di Giovan Battista Paganoni, 58 anni di Colzate. Si tratta di una struttura venatoria di vecchia data, essendo stata costruita dal nonno del signor Giovan Battista, il quale, poi, l’ha data in gestione anche allo zio, fino ad arrivare all’attuale proprietario che, con grande passione e spirito naturalistico, ha ricominciato a sistemare, ristrutturare e riqualificare: infatti, per alcuni anni era stato abbandonato e, come capita in queste situazioni, la cura non costante e continua della struttura porta facilmente al degrado. Da qualche tempo, invece, il signor Giovan Battista si è rimesso a salire i fianchi del Monte Cavlera (il roccolo si trova proprio in località Bertò, nella parte nord della montagna, verso la Valle del Riso), iniziando così a sistemare l’impianto di cattura, altresì detto “uccellanda”, dove poter catturare tordi, fringuelli, sasselli, viscarde e peppole. Quindi, pulizia del terreno, potatura e risagomatura degli alberi, ricostruzione dei filari di piante davanti al casello in sassi. Tutto per restituire dignità alla struttura, che rappresenta un esempio di archeologia venatoria, ma soprattutto piena funzionalità, per la cattura dei richiami vivi. In breve tempo, il roccolo è stato sistemato in tutte le sue parti, pronto per questo avvio di stagione venatoria 2008/2009: ol casèl (torretta in pietra), ol tònd (alberature intelaiate fra loro), ol coridùr (galleria di fronde composta da due file di piante modellate a volta); gli attrezzi e gli oggetti dell’uccellagione, come le antenne per il tiraggio delle reti, le gabbie per gli uccelli da richiamo, gli sburadùr (spauracchi, per invitare gli uccelli a cadere nelle reti). Il roccolo “Bertò”, come detto, è uno dei 23 attivati dalla Provincia di Bergamo per la cattura di richiami vivi, funzionali ai capannisti. Gli altri sono: “Al Canto” di Sedrina, al “Bagù” di Oneta, “Bosdocco” e “Cima Longa” di Almenno San Bartolomeo, “Cavagnocol” di Casazza, “Brasile” di Villa di Serio, “Ceresola” di Valtorta, “Clusorina” di Schilpario, “Corna” di Zogno, “Costa Colarino” di Serina, “Costa Palera” di Lenna, “Magret” di Aviatico, “Foppa Spessa” di Dossena, “Meschino” di Roccobello, “Monte Croce” di Leffe, “Selva d’Agnone” di Valgoglio, “Monte Farno” di Gandino, “Svalì” di Oltre il Colle, “Tavernelle in Castagneta” di Bergamo, “Zeb” di Roccobello. Le reti sono state alzate nei giorni scorsi, in occasione della riapertura della stagione venatoria, conferendo nuovamente ai roccoli una presenza di importante funzionalità. Ma ecco un po’ di storia. I roccoli risalgono all’antichità, quando popolani e contadini si trovavano nella condizione di non poter praticare la caccia, se non dopo aver ricevuto eccezionali permessi dai loro padroni. Così, molti di questi, spinti dalla fame, che era sempre tanta, iniziarono a dedicarsi alla caccia della selvaggina, “hobby” quest’ultimo trascurato dai latifondisti. Così, contadini e boscaioli, che vivevano a contatto con la natura, in tutte le sue forme, e ne conoscevano i ritmi e le frequentazioni della fauna, in particolare delle varie famiglie di volatili, iniziarono con il costruire delle trappole per la cattura degli animali. Dai primitivi lacci e dalle reti, ben presto si iniziò a costruire i roccoli, che consistevano in una architettura rustica a forma di torretta, avvolta da alberi, arbusti o essenze rampicanti, per nasconderne la visibilità. Attorno ai filari venivano appese le gabbie di richiamo, circondate da un prato ben tenuto e curato. Tali roccoli si costruivano dove gli uccelli abitualmente passavano (zona di passo) e, con il passare del tempo, queste costruzioni subirono modificazioni, sempre più funzionali per la cattura dei volatili, consentendo di dare soddisfazione anche al bisogno di cibo avvertito da parecchie persone che venivano da diverse località. Oggi, i ritmi mutati della vita stanno conducendo verso il loro abbandono e disfacimento, ma il loro utilizzo come centri di cattura per richiami vivi o per inanellamento a scopo scientifico rappresenta tutt’oggi la migliore forma di tutela per queste architetture rustiche che facevano parte della vita quotidiana delle nostre vallate, un patrimonio naturalistico che sarebbe doveroso trasmettere alle future generazioni. Gloria Belotti |