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Perché non eliminare Province, Comunità montane, Consorzi,.. Stampa

Riflessioni per le vacanze…

Dai, mobilitiamoci, informiamoci, ma soprattutto discutiamo e verifichiamo. Solo così sapremo veramente quanto potremmo risparmiare se venissero eliminate le province (quelle inutili e costose) e le comunità montane (quelle “marittime” o quelle “pianeggianti”, sic!), ma anche consigli circoscrizionali, ATO Acqua, ATO Rifiuti, bacini imbriferi, consorzi di bonifica. Quanti “carrozzoni”, quanti “stipendifici”, quanti “salvapoltrone”…

Da più parti si fanno dossier, indagini, ricerche; si studiano soluzioni, accorpamenti, “svuotamenti” di funzioni, ridefinizioni di ruoli; si verificano i possibili (e sono tanti) contenimenti della spesa pubblica,…

Beh, siamo solo all’inizio, diamo tempo al tempo, ma siamo convinti che prima poi si prenderà la penna rossa e si inizierà a cancellare, a sopprimere, a eliminare.

La gente è stanca di vedere gli sprechi. Bisogna ridefinire le funzioni di Regioni e Comuni; sopprimere gli enti intermedi, come le province; eliminare gli enti inutili, appunto le comunità montane (dove le montagne non ci sono!), i consorzi; ridurre i componenti dei consigli circoscrizionali; ma anche trasformare le prefetture in uffici territoriali di governo, con un ampliamento delle loro funzioni…

Insomma, bisogna disegnare una nuova gestione amministrativa del territorio. E che risparmi. In gioco ci sono migliaia di presidenze, vicepresidenze e consigli di amministrazioni. Cioè stipendi che non si dovrebbero più erogare. Se arrivasse un nuovo ordinamento delle autonomie locali, verrebbero cancellati almeno 3000 enti, i cosiddetti “enti inutili”. All’esodo di enti si aggiungerebbero inoltre 86 mila politici locali che si vedrebbero portare via il seggio della riduzione dei consigli e delle giunte in Comuni e Province

Ma vediamo nei dettagli. Perché accanirsi, per esempio, contro le comunità montane, fino a chiederne la cancellazione? Perché rappresentano un capitolo non trascurabile del libro nero sui costi della politica. Sparse per l’Italia ce ne sono 356. Non poche, considerando che solo il 35% del territorio nazionale è montagnoso. D’altro canto imporre un freno è difficile, poiché l’istituzione è decisa dagli enti locali in piena autonomia. In Umbria, per dire, ci sono 9 Comunità montane che si sommano a Regione, 2 Province, 92 Comuni, 3 Ambiti territoriali e 4 Parchi. Tutto per soli 800mila residenti. In Piemonte ce ne sono 48, in Calabria 26 (solo 4 meno della Lombardia), in Basilicata 14 (una ogni 40mila abitanti), in Molise 10 (una ogni 33mila abitanti).

Tanto poi paga lo Stato, che ogni anno spende 800 milioni di euro per tenerle in vita. Ogni Comunità montana ha uno statuto, una struttura burocratica, un presidente e un’assemblea di consiglieri nominati dai Comuni. Risultato: gli stipendi dei 356 presidenti costano alla finanza pubblica 13,6 milioni di euro all’anno, mentre i 12.800 consiglieri si accontentano di gettoni di presenza variabili tra 17 e 36 euro per ogni riunione.

Ma attenti. Un po’ di storia. Nate nel 1971 come enti autonomi, oggi le Comunità montane altro non sono che unioni di Comuni. Il loro compito è eliminare gli squilibri di natura sociale ed economica tra le zone montane e il resto del territorio nazionale, difendere il suolo e proteggere la natura. Hanno un ambito operativo prossimo all’infinito: dalle infrastrutture alla formazione professionale, dalla bonifica del suolo alla promozione economica. A tal fine, adottano piani pluriennali per lo sviluppo economico-sociale e ne curano l’attuazione.

Vasto programma, lodevoli intenzioni. Ma analizzando i bilanci, si scopre che circa la metà dei fondi viene destinata alle spese di struttura e solo una minima parte ridistribuita ai cittadini sotto forma di opere e servizi pubblici.

A sostenere le tesi di chi ne invoca la soppressione è arrivata la Corte costituzionale, che ha definito le Comunità Montane enti costituzionalmente non necessari. Dunque, nulla vieta di eliminarle. Ma l’ultima riforma degli enti locali, nel 2000, non le ha toccate. Anzi, ne ha rafforzato l’autonomia e i poteri, rendendole sovrane nella determinazione della loro organizzazione.

No, dobbiamo muoverci, mobilitarci, gridare il nostro disappunto, avviare un dibattito. Magari, partendo da questo articolo.

Intanto, un invito. Forte, provocatorio, ma che la gente sente dentro come vero. Togliere di mezzo la stragrande maggioranza delle province, rendere più snelle le Regioni, accorpare molti Comuni e Comunelli (qualcuno non arriva a 50 abitanti, sic!), tagliare i tanti enti inutili, ma costosissimi che sono la vera bolletta che le famiglie italiane non possono più pagare. Tutto questo impianto amministrativo l’Italia non se lo può più permettere.

Quindi ben vengano provvedimenti come quello contenuto nella manovra economica da 24 miliardi di euro approvata dal governo, che prevede la soppressione delle province inferiori a 220mila abitanti (ad esclusione di province che fanno parte di regioni a statuto speciale e/o che confinano con stati esteri): le province a rischio sarebbero Ascoli (212.846 abitanti), Matera (203.770), Massa (203.698), Biella (187.314), Vercelli (180.111) Fermo (176.488), Crotone (173.370), Vibo Valentia (167.334), Rieti (159.018), Isernia (88.895). 10 province, un po’ poco, ma speriamo che sia solo l’inizio di una lunga opera di risanamento e di rifondazione di un paese tanto vecchio e troppo costoso!

Ah, una considerazione personale. Perché fissare l’asticella a 220mila e non a 300mila o a 250mila o a 200mila? Ad esempio, un’asticella fissata a 300mila, oltre ad essere una cifra tonda, è più omogenea, visto che tale soglia stabilisce quanti consiglieri e assessori possa avere una provincia…

E andiamo avanti. Giusto per voi, un po’ di dati. Ma quanto costano le Province? Dai dati dell’Unione delle Province Italiane, il 73% dei bilanci si distribuisce in spese correnti e soltanto il 27% in investimenti. Quindi, 3/4 dei soldi servono al mantenimento delle stesse province e solo 1/4 vengono utilizzati per il cittadino. Il costo complessivo delle province supera i 10 miliardi di euro. La retribuzione mensile di un presidente provinciale varia tra 4.000 e 7.000 euro (a seconda del numero di abitanti della provincia considerata), quella di un vice-presidente tra 3.000 e 5.200 euro, quella di un assessore tra 2.700 e 4500 euro, cui si devono aggiungere i gettoni di presenza dei semplici consiglieri. Mamma mia che sprechi! Vi facciamo una domanda: ultimamente è aumentato il gas metano ed è stato calcolato che mediamente una famiglia italiana spende 35 euro in più all’anno ma, nessuno calcola quanto spende la stessa famiglia per mantenere enti (leggi carrozzoni) che non sono beni primari…Anzi???

Perché non eliminare questi enti e dare più soldi a Comuni e Regioni??? Obiettivamente, lo Stato non può continuare a tagliare i fondi su settori importanti quali sanità, istruzione, sociale e quant’altro e non toccare i veri sprechi della spesa pubblica…O forse, le nostre riflessioni sono sbagliate?

Buone vacanze a tutti e…riflettiamo

Andrea Bonomi

 

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