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PENSIERI “DALLA RIPA” Stampa

Il 17 maggio è giunto alla sua conclusione il percorso Diaforà: pensare dalla Ripa. Incontri sulla differenza nell’educazione, nelle scienze e nelle arti, promosso dalla nostra Amministrazione insieme alla Cooperativa Sociale “La Fenice” di Albino e all’Associazione “In-Oltre” di Bergamo.

Si è trattato di un’iniziativa importante, ricca di contenuti e occasione di riflessioni diverse.
Senza la pretesa di riassumere quanto è emerso lungo gli incontri, credo che sia utile soffermarsi su alcuni aspetti.

Innanzitutto la proposta ha riscosso un significativo successo di pubblico. Otto appuntamenti da febbraio a maggio per molti erano un azzardo, soprattutto in anni nei quali è sempre più diffusa l’opinione che “la gente” desideri soltanto svago e intrattenimento.
E invece tutte le serate hanno visto un numero di presenze che non è mai sceso sotto il centinaio e in alcuni occasioni è andato ben oltre le 200 persone.
Quello che mi ha colpito, però, non è stato solo il numero dei partecipanti, ma anche le differenze che caratterizzavano il pubblico: giovani, adulti, anziani, esperti, persone comuni.

Perché la proposta ha suscitato questo interesse? Credo che abbiano giocato un ruolo importante soprattutto due elementi: la qualità dei relatori e la significatività dei temi.
In effetti il programma prevedeva che sul palco dell’Auditorium della Città di Albino salissero esponenti di primo piano del panorama culturale italiano e non solo italiano.
A mio avviso, quello che più conta non è però che nomi di richiamo abbiano “funzionato”. Cosa più importante è che il pubblico abbia seguito con attenzione costante le conferenze e nel dibattito abbia dialogato con i relatori, dimostrando che non erano in gioco questioni per così dire accademiche, ma problemi e preoccupazioni reali, che hanno a che fare con i livelli profondi delle questioni che ciascuno di noi incontra nella sua vita personale e professionale: quale educazione possiamo praticare oggi nelle nostre società? come possiamo o dobbiamo rapportarci con l’approccio scientifico e tecnologico alla realtà che sempre più pervade la quotidianità in tutti i suoi aspetti? è possibile e come ricostruire città e comunità, nelle quali ricomporre una socialità autentica?
Tutto ciò – ripeto – con modalità che hanno consentito di entrare con serietà e rigore nel merito degli argomenti, ma senza iper-specialismi, mettendo in relazione le preoccupazioni degli esperti con quelle delle persone “comuni” e sapendo far dialogare entrambi.

Di serata in serata il tema della differenza, al centro del percorso, è stato affrontato sotto molteplici aspetti e in vari contesti e di questo è impossibile tentare anche solo una rapida sintesi. Mi limito ad un elenco per titoli: la complessità dell’educare e la superficialità crescente con cui le nostre società guardano e agiscono i ruoli formativi, la pervasività del binomio scienza/tecnologia che richiede nuove bussole per evitare la trasformazione della sua istanza liberatoria in pericolosa superstizione, una visione non estetica dell’arte, che le consenta di riguadagnare un ruolo fondante nella costruzione dei legami sociali. Hanno ricevuto particolare attenzione due delle numerose differenze che attraversano l’esperienza umana: l’infanzia e la disabilità. Rispetto all’infanzia c’è stato un forte richiamo al rispetto, visto come modalità scientifica di conoscenza delle loro possibilità, ed è stato esplorato il ruolo dell’educatore e dei limiti necessari che si pongono all’agire pedagogico e didattico. Rispetto alla disabilità gli incontri hanno posto il problema dei diritti di cittadinanza, di espressione, di una vita normale, problema che non riguarda soltanto le persone “fragili” ma che rappresenta l’unica via perché anche le fragilità di “noi normali” abbiano legittimazione.

Anche solo da queste allusioni appare come le relazioni e i dibattiti abbiano dato a tutti i presenti di che pensare, abbiano sollecitato a una nuova progettualità individuale, comunitaria, sociale, non solo chi come me ricopre ruoli pubblici di amministratore, ma tutti quelli che non si accontentano di subire il proprio quotidiano vivere, tutti quelli che intendono provare ad agire davvero il proprio essere cittadini.

Certo, non servono iniziative estemporanee e la nostra amministrazione ne è pienamente consapevole, tanto è vero che il ciclo di incontri è solo una prima tappa verso il Centro Diaforà. Tappa che ha permesso di cominciare a capire di cosa si occuperà il centro culturale che la cooperativa La Fenice ha intenzione di promuovere in una logica di autentica collaborazione tra enti e soggetti diversi, pubblici e privati. Come ha detto in una delle serate il filosofo Carlo Sini, chi ha ruoli politici deve infatti preoccuparsi urgentemente di ri-costruire quelle piazze, quei luoghi che fanno una comunità, che ne aiutano la continua ricostituzione attraverso l’incontro delle persone, il pensare e il fare condiviso alimentato nel profondo dalle scienze, dalla cultura, dalle arti.

 

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