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Filo diretto con la scuola media… Il guinzaglio elettronico Stampa

All’estero lo chiamano telemothering o tele-parantage: è il ruolo assunto dal telefono cellulare nel rapporto fra genitori e figli, un mezzo per tenere a bada le ansie per i pericoli che insidiano i figli quando si allontanano dalle mura domestiche. In sostanza una sorta di cordone ombelicale, un guinzaglio elettronico che crea negli adulti l’illusione di seguire e proteggere i ragazzi

Questa la tematica affrontata nell’incontro con Daniela Brancati, giornalista professionista, imprenditrice e dirigente d’azienda nel settore della comunicazione, affiancata da Imelde Bronzieri, fondatrice dell’azienda “I Pinco Pallino” e dell’Osservatorio sull’immagine dei minori che opera tra San Paolo d’Argon ed Entratico, ad apertura del percorso di riflessione sui temi della coppia e della famiglia dal titolo “Un mondo d’amore – l’amore ha i suoi comandamenti” promosso dalla Società Servizi Sociosanitari Valseriana S.r.l. di Albino in collaborazione con il Consultorio Familiare Scarpellini di Bergamo.

Al numeroso pubblico presente nella sala dell’auditorium comunale di Albino la sera di venerdì 11 Dicembre 2009 l’illustre relatrice ha offerto uno spaccato del quotidiano confronto tra genitori e figli in relazione all’uso del telefonino.

Da una parte i ragazzi, che adottano il cellulare come una “protesi sociale”, un prolungamento della loro personalità: una postazione digitale completa (non solo telefono ma anche orologio-macchina fotografica-agenda-telecamera), complessa ma di facile uso, attraverso la quale il “nativo digitale” comunica superando le insicurezze e gli imbarazzi tipici dell’adolescenza, spinto dall’unico-universale desiderio di appartenere al “gruppo dei pari”.

Dall’altra i genitori, che sfruttano lo strumento per supplire alla propria assenza e per placare le proprie ansie con l’illusione di poter mantenere il controllo dei figli anche a distanza.

Gli stessi genitori, per contro, rilevano le conseguenze negative dell’uso/abuso del telefonino da parte dei figli:

-

Il crescente squilibrio tra l’essere e il voler essere. Senza più spazi per rimanere soli con se stessi ed elaborare in modo personale le informazioni, travolti costantemente da un rumore di fondo, che deriva dall’utilizzo in contemporanea anche di più strumenti, i ragazzi finiscono con l’avere paura del vuoto, del silenzio, del non comunicare.

-La depersonalizzazione delle relazioni.

-L’impoverimento del linguaggio.

-L’elezione a verità assolute di tutto ciò che viene da internet.

Quale dunque l’atteggiamento corretto dell’adulto nei confronti del “nativo digitale”?

Occorre innanzitutto lo sforzo di comprendere il linguaggio dei ragazzi.

Essi sono semplicemente figli del loro tempo! Un tempo in cui il messaggio è fortemente condizionato dal mezzo. Un tempo in cui, come peraltro avviene da sempre, si è verificata un’evoluzione della lingua. Un tempo in cui, nonostante tutto, nella piramide della cultura si registra un aumento del livello medio.

Ostinarsi a disconoscere questo “digital divided” (limite che separa le due generazioni) comporta un rischio grossissimo: la perdita di autorità.

Occorre più “umanesimo”: far crescere nei ragazzi la cultura del senso critico, affinché essi diventino padroni dello strumento facendone un uso contingentato e non nevrotico, coltivare e sollecitare lo sviluppo delle loro specifiche personalità.

Tutto questo lavoro si pone ovviamente in stretta correlazione al tipo di libertà che il genitore vuole per se stesso e per i propri figli: “libero come un cavallo che corre nella prateria o libero come un uomo che si muove nella nebbia?”.

Occorre inoltre recuperare l’alleanza tra agenzie educative, famiglia e scuola innanzitutto (fare comunità solidale negli intenti poiché un genitore da solo non ce la può fare, dare regole condivise e sensate, concedere un’autonomia controllata).

Occorre appropriarsi della creatività e non necessariamente della tecnicità del digitale.

Occorre, infine, semplicemente riconoscere che i ragazzi hanno una competenza che l’adulto non ha…..

Impossibile non notare come le sottolineature proposto dalla relatrice richiami fortemente i suggerimenti educativi che la psicologa Rita Gay enuncia nel suo volume dedicato all’adolescenza “Questi nostri adolescenti – Quando educare sembra impossibile”.

Uno per tutti: “l’adolescente va accompagnato lungo il suo percorso di crescita. Accompagnare non significa né controllare né coccolare: significa esserci, essere una presenza che egli possa sentire affidabile, anche quando la contesta o quando sembra sottovalutarla. Si può accompagnare non solo parlando ma anche tacendo ed ascoltando, non solo approvando ma anche vietando. E’ questo anche un modo di condividere la fatica del crescere: si cresce da adolescenti e si cresce da adulti. Insieme, in un rapporto di cambiamento e di scambio reciproci.

Benedetti Cristina, Comitato Genitori Istituto Comprensivo Albino

 

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