Palazzo Spini, poi Cà del Fatur |
Palazzo Spini, comunemente chiamato Cà del Fatur, è un monumento storico di grande valore artistico e culturale; situato in posizione preminente, all’imbocco dell’antica strada verso Bergamo e “alle porte” del borgo, sembra avere sin dalla sua origine una funzione di accoglienza del visitatore-forestiero, oltre che di rappresentanza del potere. L’edificio si caratterizza per una certa complessità architettonico-strutturale, determinata dalle varie aggregazioni di parti e dalle sovrapposizioni di stili che sono avvenute nel corso del tempo; ciò nonostante, sono ancora riconoscibili i diversi interventi. A un primo nucleo originario risalente al Quattrocento e al Cinquecento, ancora ben distinguibile per un’omogeneità di stile e per l’impiego di pietra calcarea di colore chiaro nei particolari architettonici, si sono aggiunti altri comparti; è probabile, infatti, che il grande corpo di fabbrica arretrato a nord e adibito in origine a stalla, risalga al Seicento.
(Tale comparto ha subito importanti modifiche strutturali, soprattutto nell’intervento di ristrutturazione avvenuto tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso; tuttavia, permane nella memoria collettiva, l’imponenza e la monumentalità di questo edificio, in origine realizzato in laterizio e contraddistinto internamente da bellissime volte a chiocciola.)
La lunghissima facciata prospiciente via Mazzini (corrispondente ai numeri civici: 182, 180, 178, 176, 174) si caratterizza per un’interessante sovrapposizione di stili, in cui elementi architettonici cinquecenteschi si integrano ad aggiunte e modifiche posteriori; risale, infatti, all’Ottocento l’inserimento di una doppia fila di finestre che ha conferito una certa omogeneità e una “sensazione di continuità” al lungo prospetto. Questo importante intervento ottocentesco, ha fortunatamente lasciato integri i due portali in stile rinascimentale: da quello centrale estremamente scenografico, con un bugnato a punta di diamante a quello laterale, più semplice, composto da conci rettangolari. Percorrendo gli androni dei due portali di accesso, si arriva al grande cortile interno contraddistinto dalla presenza di vari elementi architettonici di gusto tipicamente rinascimentale: dalle eleganti colonne con capitelli scolpiti alle porte con stipiti lineari e architravi aggettanti, dalle finestre con eleganti finiture alle serie di archi a tutto sesto che si succedono in alcuni prospetti. E’ probabile che tutto il comparto situato a est, ordinato, armonioso e articolato secondo un rigoroso disegno progettuale, fosse destinato a residenza nobiliare; mentre la zona dislocata verso ovest avesse una funzione diversa, forse di deposito o comparto agricolo. Sul portale spostato più a ovest, che da accesso al corpo di fabbrica retrostante (in origine scenograficamente allineato a quello della facciata principale con bugnato a punta di diamante), è ancora visibile lo stemma degli Spini, composto da una elle rovesciata su cui si innestano rami con foglie e spini. Il Palazzo fu con molta probabilità fatto erigere da Bernardo Spini (morto nel 1532, padre di Marcantonio e Gian Giacomo), capostipite di quella famiglia “che per quattro secoli ebbe ad Albino un ruolo socialmente preponderante” ( 1 ). Secondo le ricerche di G. Tiraboschi, gli Spini o De Spino, originari di Zogno, si insediarono ad Albino nei primi decenni del Quattrocento; inizialmente esercitarono l’attività di tintori e si occuparono del commercio dei panni lana, ma nel corso del tempo, diversificando l’attività imprenditoriale, arrivarono a costituire un consistente patrimonio economico. Per la ricchezza e per il prestigio sociale di cui godettero, alcuni membri della famiglia furono chiamati a ricoprire importanti cariche pubbliche e furono reggenti delle locali istituzioni religiose. E’ da segnalare, infine, che Palazzo Spini, allineato sull’asse viario centrale, si trovava “fuori porta”, cioè all’esterno del grande arco a tutto sesto che si apriva all’ingresso del borgo, in prossimità di quel “terrazzino a sbalzo” (oggi ancora visibile) sito al numero civico 168; la presenza di tale arco è documentata da una veduta pittorica ottocentesca - in collezione privata ad Albino – con un punto di vista coincidente all’incirca alla zona della chiesa del Pianto. Attualmente, per mancanza di una documentazione storico-archivistica, non è possibile risalire al periodo di edificazione dell’arco d’accesso ma grazie alle ricerche condotte da G. Tiraboschi nell’archivio comunale di Albino, sappiamo che l’elemento in questione è stato demolito nel corso dell’Ottocento per volontà dell’Amministrazione comunale. Si ricorda peraltro che nella zona dove ora sorge l’edificio della Banca Popolare di Bergamo, c’erano campi di marcite irrorate dal Rio Re; mentre i locali della gelateria Peccati di Gola erano con molta probabilità i laboratori di tintoria degli Spini. Oggi Palazzo Spini è conosciuto come Cà del Fatur, perché nel corso dell’Ottocento dopo una serie di passaggi di proprietà, venne trasformato in fattoria; vi abitò da quel momento il fattore della famiglia Crespi di Nembro con la funzione di dirigere le varie attività agricole. A cura di Marta Testa LE DECORAZIONI INTERNE DI PALAZZO SPINI La Sala dei poeti, via Mazzini n° 178 Gli interventi di restauro degli interni di Palazzo Spini sono stati piuttosto radicali, così da modificare la successione dei vani ed eliminare progressivamente gli affreschi presenti nei diversi ambienti. L’unica decorazione superstite a questo processo di ammodernamento si trova nella cosiddetta Sala dei Poeti, denominazione proposta dal dottor Francesco Rossi all’interno del saggio pubblicato in: Storia delle Terre di Albino. F. Rossi (direttore dell’Accademia Carrara dal 1973 al 2004) ha condotto sulla Sala dei Poeti due studi scientifici: il primo intorno al 1983, preliminarmente al restauro realizzato dalla Soprintendenza delle Belle Arti di Milano; il secondo nel 1996, per la preziosa pubblicazione: Storia delle terre di Albino. Attualmente la splendida Sala dei Poeti ospita la graziosa enoteca Sorsi e Bocconi. Si segnala in primis l’enorme importanza degli affreschi di questa sala per la storia dell’arte bergamasca nel Cinquecento, poiché “si tratta di uno dei più antichi esempi superstiti in zona di decorazione a carattere profano” ( 2 ), tipologia decorativa sicuramente molto diffusa nel Rinascimento all’interno dei palazzetti signorili. E’ altresì rilevante anche l’ubicazione di questi affreschi, che risultano collocati in uno dei saloni maggiori del palazzo. L’età di esecuzione non è ben precisabile ma potrebbe avvicinarsi intorno al 1570. Per quanto riguarda l’attribuzione, Rossi formula una prima ipotesi nello studio del 1983, attribuendo gli affreschi a Moroni ma con una larga partecipazione della “bottega”, mentre nello studio successivo li attribuisce a una generica scuola bergamasca. La decorazione superstite della Sala dei poeti (non sappiamo se le pareti fossero dipinte o ricoperte da arazzi) è costituita da una larga fascia marcapiano distribuita tra il soffitto e le pareti; tale fascia è intervallata regolarmente da una serie di mensoloni aggettanti entro cui si inseriscono dei riquadri; alle parti pittoriche si aggiungono, sul soffitto e sull’intradosso dei mensoloni, una serie di motivi ornamentali scolpiti nel legno, forse in origine policromi. Nei riquadri a parete decorati ad affresco si alternano: - riquadri con grottesche (decorazioni composte da intrecci bizzarri di fiori, frutti, candelabri, putti, animali o esseri fantastici) - riquadri con grandi clipei contenenti busti di uomini e una figura femminile - riquadri con blasoni (tra questi è perfettamente riconoscibile lo stemma della famiglia Signori di Comenduno). Secondo l’interpretazione iconografica proposta da Rossi, gli uomini con la corona di alloro potrebbero essere identificati con Virgilio (uomo giovane), Cicerone (uomo vecchio, con pronunciata calvizie centrale) e Orazio (uomo giovane di pieno profilo, un po’ grassoccio); mentre il personaggio senile con turbante potrebbe essere il matematico Avicenna. A questi uomini si aggiungono un guerriero con elmo e una figura femminile. La tematica scelta è desunta da fonti cinquecentesche e “chiarissimo ne è il senso: un omaggio a poeti e letterati dell’antichità” ( 3 ). Inoltre, secondo il dottor Rossi “la particolarissima collocazione, in un grande salone con accesso diretto (e indipendente) dalla strada, fa pensare a un vano destinato a manifestazioni non strettamente private, di tema letterario o anche teatrale o musicale.”(4) E’ quindi probabile che il palazzo fosse utilizzato anche come luogo di cultura, oltre che di rappresentanza e di potere; ma F. Rossi aggiunge un’ulteriore ipotesi altrettanto suggestiva: “guardando questa sala è inevitabile pensare a quella società, aristocratica incline alla simbologia letteraria, che faceva capo alla poetessa Isotta Brembati cui Giovan Battista Moroni fu legato in gioventù: e che l’artista sia stato il tramite primo tra questa società e Bernardo Spini, suo mecenate e poi amico e titolare di palazzo” ( 5 ). Risulta fondamentale a questo punto illustrare brevemente i rapporti che intercorsero tra il maggior ritrattista lombardo del Cinquecento e la famiglia Spini. Il primo a fornirci delle indicazioni in merito è lo storico Francesco Maria Tassi, che nel suo testo “Vite de pittori e architetti bergamaschi” (pubblicato a Bergamo nel 1793), descrive una stanza dipinta da Giovan Battista Moroni in Palazzo Spini ad Albino, senza però specificarne l’ubicazione; si riporta di seguito tale descrizione: “una stanza dipinta in casa Spini nell’anno 1549, essendovi in essa molti capricci alla chinese, paesetti, puttini, ed animali diversi con molta grazia, e leggiadria insieme ripartiti……” E’ piuttosto difficile stabilire se questa descrizione si riferisca alla Sala dei poeti o ad un altro ambiente del palazzo; tuttavia è di grande importanza perché oltre a segnalare l’intervento di Moroni, riporta una datazione e lascia supporre due diverse ipotesi: la possibilità che la grande Sala dei poeti fosse affrescata anche sulle pareti con “paesetti e puttini ed animali diversi…”, oppure la probabilità che all’interno del palazzo vi fosse un altro grande vano decorato ad affresco. Gli studi recenti di G. Tiraboschi confermano che Giovan Battista Moroni e il padre Francesco furono in stretta relazione con Bernardo Spini per la comune gestione della Confraternita della Misericordia di Albino. Intorno al 1573, infatti, Moroni ritrae i coniugi Bernardo e Pace Rivola Spini (figure 1 e 2). I due ritratti, sicuramente realizzati in coppia, erano con molta probabilità destinati ad ornare il Salone d’onore di Palazzo Spini. Le due figure si stagliano su uno sfondo architettonico luminoso contraddistinto da una fascia marcapiano e da una lesena. Bernardo indossa un abito nero alla spagnola con una mantella ricamata e un alto berretto; al fianco porta una spada mentre nella mano tiene una lettera o un documento, forse per testimoniare il suo impegno civile. Pace indossa una veste rossa e una sopraveste nera alla spagnola e sul braccio sinistro tiene un vistoso ventaglio; la sua è “eleganza semplice” lontana dal lusso e dal gusto sontuoso dell’aristocrazia cittadina. Fig. 1 Fig. 2 Bernardo Spini e Pace Rivola Spini , 1573 circa, (olio su tela) Accademia Carrara, Bergamo I VANI ADIACENTI alla Sala dei Poeti Sulla parete ovest della Sala dei Poeti, è ancora visibile l’ingombro delle due porte (ora murate) che conducevano ad una sala attigua, di dimensioni inferiori, anch’essa affrescata; tale ambiente, però, non è destinato alla pubblica fruizione. Sul lato est della Sala si accede a un piccolo vano coperto da una bellissima volta “a ombrello” anch’essa interamente decorata ad affresco; il motivo ornamentale che qui si sviluppa è costituito dall’intreccio di rami, forse tralci di vite e una sottile fascia gialla che si snoda secondo un disegno piuttosto arzigogolato. NOTE 1) G.Tiraboschi 2006. 2) F.Rossi 1983. 3) F.Rossi 1996, pag 96. 4) F.Rossi 1996, pag 96. 5) F.Rossi 1996, pag 96. BIBLIOGRAFIA T. Pievani, Palazzo Spini (Casa del Fatur), un monumento in grave pericolo, in “Albino socialista” periodico della sezione del P. S. I di Albino, Ottobre 1983. F. Rossi, Affreschi di Palazzo Spini in Albino, relazione preliminare, 1983. F. Rossi, La pittura, la scultura e la decorazione, in Storia delle terre di Albino, volume secondo,1996. G. Tiraboschi, Albino nei tempi: la nobiltà della famiglia Spini, in “Paese mio”, settembre 2006. |