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Il perdono Stampa

Non sempre i rapporti sociali sono improntati ad una serena convivenza, anzi non mancano le occasioni di dissapori, che talora sfociano in aggressività impulsive che possono avere serie conseguenze. Nel Cinquecento l’aggressività era ricorrente e, siccome gli uomini giravano armati di coltelli o spade, non era infrequente che da un diverbio si passasse alle vie di fatto e che ci scappasse il ferito o anche il morto.

La Repubblica di Venezia era drastica nel reprimere gli episodi di violenza, che nei casi di effusione di sangue erano affidati al giudizio del Giudice al Maleficio di Bergamo. Nei casi più gravi era previsto il bando dal territorio della Repubblica con la confisca dei beni e la pena di morte.

Il giudice procedeva tuttavia su querela della vittima o dei suoi parenti, ma il suo giudizio poteva mutare se si era giunti ad una riappacificazione.

Nel gennaio 1560 Gio.Antonio Girardi, mentre si trovava nella città di Lodi, era stato aggredito da Alessandro e Paolo Cerpelloni di quel luogo; le ferite inferte avevano provocato la morte della vittima. Gli aggressori erano stati condannati dal tribunale ed erano stati messi al bando. Tre anni dopo però il fratello della vittima concede il suo perdono ai due banditi, a seguito del quale sono cancellati il bando e la condanna a loro inferti, e possono riprendere in piena libertà il loro posto nel proprio contesto sociale.

Nel 1571, durante un diverbio, il giovane Battista Regazzoni che abitava in Piazza è ucciso con una archibugiata dal vicino Bernardino Benvenuti, che è bandito in perpetuo dal territorio della Repubblica. Ma nel gennaio 1572 il sessantenne Alberto, padre della vittima, di sua iniziativa e per debito di coscienza, dichiara il suo perdono a Giovanni padre di Bernardino, affermando che lo stesso Bernardino era stato provocato da Battista. Fa quindi redigere una richiesta di indulgenza, perchè Bernardino sia liberato dal bando.

Nel 1572 Battista Bonasio di Albino aveva ferito Paolo Zoi figlio di Sandrino di S.Gallo, uno dei suoi dipendenti nella tenuta di Scanzo, con successiva morte: era stato quindi processato dal Giudice al Maleficio di Bergamo. Però Sandrino Zoi, anche a nome della moglie e dei figli, perdona al suo padrone ogni ingiuria e offesa e prega che venga liberato, impegnandosi a mantenere la pace con lui.

Nel 1578 Gio.Paolo Bonasio, a letto per una ferita infertagli al capo dal nobile Gio.Francesco Spini, a seguito della quale era stata avviata una causa contro il feritore, volendo liberarsi la coscienza, dichiara, in presenza dello stesso Gio.Francesco, di averlo più volte provocato e di aver avuto l’intenzione di ferirlo e Gio.Francesco ha reagito per difesa; per cui lo perdona per la ferita che gli ha inferto e desidera sia liberato da ogni pena conseguente. Il Pretore, vista la pace fatta, lo assolve. Quelli descritti solo alcuni esempi, ma casi simili erano ricorrenti.

C’è il sospetto che non sempre il perdono delle vittime fosse improntato a carità cristiana, ma fosse talora dovuto ad un tacito risarcimento in denaro o al timore di incorrere in guai più gravi, soprattutto quando si trattava di aggressori importanti e vendicativi.

La regola della Confraternita della Carità, che aveva sede nella chiesa di S.Stefano, prevedeva la nomina di due persone che svolgessero il ruolo di pacificazione fra coloro che avessero in corso liti o vertenze, per incoraggiarli ad affidarsi al giudizio di persone stimate e di buona coscienza, le quali in caso di bisogno potevano ricorrere al consulto di dottori o sapienti a spese delle parti o, se queste erano nel bisogno, a spese della Confraternita.

G.T.

 

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