Parte il recupero della chiesa di San Bartolomeo |
Sono ormai anni che se ne parla, diverse amministrazioni comunali hanno tentato di porvi mano, ma problemi legati al reperimento dei necessari finanziamenti hanno sempre frenato, se non bloccato, l’intervento. Ora, invece, questa amministrazione comunale, in virtù del Piano Integrato di Intervento “Madonna del Pianto”, che concede alla parte pubblica degli standard molti interessanti, cioè una cospicua ricaduta economica di 340.000 euro, può con grande orgoglio far partire i lavori di restauro e di risanamento conservativo della chiesa di San Bartolomeo, uno dei gioielli architettonici e artistici di Albino. E’ una grande occasione per la comunità albinese: entro pochi mesi (i tecnici parlano di sei mesi di lavoro), la chiesa di San Bartolomeo potrà ritornare al suo antico splendore, recuperata e consolidata nelle sue strutture, restaurata nei suoi elementi di pregio, risanata e messa in completa sicurezza. Ma attenti, questa grande occasione non è giunta per caso, bensì grazie alla lungimiranza dell’amministrazione comunale, che ha creduto nella bontà dello strumento dell’urbanistica contrattata, cioè del Piano Integrato di Intervento (uno strumento, invece, che da sempre è osteggiato e vituperato dalle nostre minoranze dell’area del centro-sinistra), nello specifico quello denominato “Madonna del Pianto”, riuscendo a far ricadere nelle casse comunali la bella cifra di 340.000 euro, che copre interamente i costi dell’operazione di restauro e consolidamento. L’ok amministrativo all’avvio dei lavori è stato dato nei giorni scorsi dalla Giunta Comunale, e si pensa di aprire il cantiere già nel prossimo mese di marzo. In verità, la chiesa è giunta sino ad oggi in condizioni discrete per quanto riguarda la sua struttura muraria generale, ma gravemente “spogliata” e “svilita” in riferimento ai suoi arredi e decorazioni interne ed esterne, nonché nella sua identità di “luogo sacro” a servizio della comunità. “Il progetto di restauro - come si legge nella relazione illustrativa dell’arch. Guglielmo Clivati - si muove proponendo un intervento, per quanto possibile, rispettoso dell’esistente sino a contenere i segni, “le rughe” che l’edificio porta in sé e che in qualche modo segnano la sua storia, sia in positivo che in negativo. Ad esempio, le sagome di intonaco cementizio che si staccano evidenti dalla parete a ricordare l’antica presenza di nobili altari ora scomparsi; o il bel pavimento in laterizio cotto le cui mancanze, colmate con coccio pesto, acquisteranno un sapore di lacuna volutamente documentata. La scelta, quasi di ritegno di fronte al “monumento menomato”, è una risposta intesa a “fissare” lo stato di pervenimento dei materiali autentici e nello stesso tempo a restituire la propria identità all’aula templare.” Le cause che più hanno inciso sullo stato di degrado dell’edificio sono: la sua vetustà; l’uso improprio nel periodo post-bellico, durante il quale pare sia stato fatto scempio degli arredi interni ancora presenti; l’abbandono totale per alcuni anni; l’azione di dilavamento superficiale dell’acqua meteorica; l’azione delle infiltrazioni d’acqua e dell’umidità di risalita Nell’intervento parziale del primo lotto d’intervento, concluso nel 1998 con l’impiego di prodotti silicici usati a mo’ di barriera e la formazione sul lato sud-ovest di una intercapedine areata, si è bloccata l’azione fortemente negativa dovuta all’umidità di risalita nelle pareti perimetrali. Oggi le pareti si presentano prive di tale problema. Il restauro prevede: - Il consolidamento e risanamento strutturale dell’edificio, tramite appositi interventi sulle lesioni esistenti degli archi, anche alla luce della recente legge sulle norme antisismiche; sempre in ottemperanza alla nuova normativa antisismica si è previsto un intervento di consolidamento delle fondazioni. - La verifica puntuale dell’orditura primaria e secondaria nonché dell’assito e del manto di copertura con ricorritura e sostituzione dei coppi lesionati; - L’eliminazione degli intonaci interni ed esterni fatiscenti, nonché di tutto l’intonaco cementizio esistente; - Il recupero conservativo di tutti gli intonaci “antichi” esistenti sia all’interno che all’esterno dell’edificio, e recupero, per quanto possibile, delle decorazioni ancora visibili ancorché parziali (ad esempio quelle neogotiche poste sottogronda nella parete esterna lungo via Vittorio Veneto). Le operazioni di recupero prevedono: consolidamento degli stacchi interni; chiusure delle fessure; spolveratura delle parti pittoriche; fissaggio del colore; stuccatura con malta di calce e sabbia; ritocco a tratteggio per le stuccature, abbassamento a tono per le piccole zona mancanti; verifica, a ponteggi montati, di eventuali presenze di altre parti affrescate sotto gli attuali intonaci; contemporanea scrostatura e pulitura delle ridipinture poste sull’intonaco delle pareti interne della chiesa e della sacrestia. Prevista, poi, la ripulitura accurata del lato sud-ovest in borlanti a spina. Altri interventi: recupero conservativo del pavimento in laterizio; pulitura e intervento conservativo degli stucchi degli altari laterali al presbiterio; Intervento di restauro conservativo di tutti gli elementi in pietra esistenti quali portali di ingresso, gradini, acquasantiere, sedile lungo le pareti esterne; intervento di restauro conservativo delle due porte a due battenti d’ingresso alla chiesa e del portoncino di accesso dal presbiterio alla sacrestia. Per la porta laterale prospiciente la via Vittorio Veneto si prevede la modifica necessaria all’inversione del battente per permettere l’aprirsi dell’anta verso l’esterno e migliorare la capacità di deflusso degli utenti presenti nell’edificio. Il lavoro di restauro sarà completato con lavori di: intervento di adeguamento e messa a norma dell’impianto elettrico; realizzazione di nuovo impianto di illuminazione; realizzazione di impianto antintrusione; realizzazione di impianto di diffusione sonora; installazione di due deumidificatori; nuovo impianto idrico consistente nella riattivazione dell’acquaio posto sulla parete nord est della sacrestia; abbattimento della barriera architettonica di accesso alla navata della chiesa da via Vittorio Veneto, consistente nel superamento dei gradini esistenti tramite la realizzazione di una pedana/rampa di accesso con struttura in ferro brunito. L’accesso alla chiesa dal portale della facciata (Piazza Carnovali) sarà migliorato con la realizzazione di pedana con idonei gradini. BOX Notizie storiche sulla chiesa di San Bartolomeo (così si legge nelle notizie storiche alla “relazione illustrativa” dell’arch. Guglielmo Clivati, tratte da “La chiesa di San Bartolomeo in Albino”, di Felice Nani) Diversi documenti storici tuttora rintracciabili presso gli archivi della Curia Vescovile di Bergamo, della Parrocchia di S. Giuliano di Albino, dell’Archivio di Stato di Bergamo hanno consentito ai cultori di storia locale di ricostruire almeno in parte avvenimenti e fatti legati alla vita della chiesa di S. Bartolomeo in Albino. Tutta questa ricchezza di documenti non ha però in alcuni casi potuto essere verificata con i reali resti tramandatici in sito. Ci riferiamo in particolare alla presenza del monastero, di cui la chiesa di S. Bartolomeo era parte integrante e del quale ora non esiste più traccia visibile. Interessanti e di particolare importanza sono due “memorie” scritte da sacerdoti albinesi del 1700: pré Lorenzo Usubelli e pré Antonio Carrara. Alla luce della lettura dei documenti citati lo studioso albinese Felice Nani giunge a fissare alcuni avvenimenti particolarmente importanti per la nascita del Consorzio di S. Maria della Misericordia e per la storia della chiesa di S. Bartolomeo e del suo Monastero. “Il 15 Giugno 1336 nel castello di Gorle in presenza di monsignor Cipriano degli Alessandri, Vescovo di Bergamo, con il consenso del Parroco di Albino, Martino de Ambrosioni, viene rogato dal notaio di Curia Alberto de Anienis un atto con il quale il Vescovo autorizza Andrea de Fornaris, già ordinato suddiacono nella Diocesi di Bergamo ad edificare su un fondo in località ad Tovum in Albino una chiesa con la dedicazione a S. Bartolomeo. E’ convincimento che il monastero nasca come domus umiliata del terzo ordine ed evolva dopo pochi anni verso una spiritualità di stampo agostiniano seguendone anche la Regola. Rogiti ed imbreviature dei notai Venturino e Pecino Gaverina (padre e figlio) attivi alla metà del Trecento fanno riferimento ad un Sedumine humiliatorum Sancti Bartholomei de Albino. Altri atti notarili parlano di compravendita di lane e tessuti di lana, attività che erano, unitamente all’assistenza degli infermi, peculiari degli Umiliati. Elemento di spicco del monastero è il priore Gafforino de Fornaris (parente di fra Andrea?) che provvederà in diversi anni al pagamento del censo al Vescovo. Da quanto ci è dato sapere il numero dei frati non ha mai superato le cinque unità. L’attività del monastero finisce con la vita di fra Gafforino: alla morte di questi, che pré Carrara pone nel 1396, viene trasformato in commenda ed il Vescovo destina pré Giuliano de Aremondi, anch’esso albinese, a governarla. Il Consorzio di S. Maria della Misericordia, che a suo tempo aveva istituito con rendite proprie in S. Bartolomeo una cappellania di tre messe settimanali ed un ufficio annuale, vuole riappropriarsi di questi beni rivendicandone l’amministrazione. Essa viene concessa dal Vescovo Barozzi il 17 gennaio 1460. Con il consenso del vescovo Lodovico Donato (1467) si procede all’ingrandimento della chiesa di S. Bartolomeo, che viene portata alle dimensioni che ancora oggi vediamo. Anima di tutto questo fervore di opere è il nuovo cappellano che era succeduto all’Aremondi (marzo 1469), don Giacomo de Bonaxis. Pré Giacomo si dimette nel 1523 e propone alla Misericordia quale suo successore pré Simone Moroni detto Borsetti, segretario in Roma del cardinal Saraceno. Il cinquecento vedrà la reggenza della cappellania affidata a pré Simone ed al di lui nipote, canonico Marco Moroni, morto nel 1599: discendenti da un Simone Moroni detto Borsetti, che aveva partecipato alla stesura ed alla revisione degli Statuti del Comune di Albino del 1443, le loro fattezze ci sono state conservate in due ritratti di Giovanni Battista Moroni, oggi alla Galleria di Palazzo Pitti di Firenze (Ritratto di vecchio e Ritratto di prelato). L’amministrazione della cappellania, fra alti e bassi, continuò sino al 1741, quando i reggitori della Misericordia investirono quali cappellani di S. Bartolomeo i parroci pro tempore di S. Giuliano. Il primo fu don Giovanni Guarinoni che creò in questa chiesa una cripta per la sepoltura dei sacerdoti della parrocchia (usata sino al 1810 circa). Egli volle essere seppellito in S. Bartolomeo: una lapide inserita nel pavimento lo ricorda. Sotto il dominio Napoleonico le Misericordie vennero inglobate nei Luoghi Pii elemosinieri, poi erette in Congregazioni di Carità; nel secolo scorso passarono all’E.C.A. (Ente Comunale di Assistenza) e successivamente all’Amministrazione Comunale. L’assessore ai Lavori Pubblici, Marino Masseroli |