Al via il restauro della pala dell’altare maggiore |
Per la pala dell’Assunta e di San Giacomo è pronto un posto in una “clinica specializzata”, dove sarà sottoposta alle analisi necessarie, e quindi, a tutte le cure del caso E’ destinata ad essere restaurata la pala dell’altare maggiore della chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta e San Giacomo di Vall’Alta. Nella parrocchiale, infatti, alle spalle dell’altare maggiore, c’è un dipinto che raffigura i titolari di quella chiesa, Maria Assunta e San Giacomo, accompagnati dalla Trinità, dagli apostoli e da altri santi. Questo dipinto ha la veneranda età di 270 anni, che ora si fanno sentire. Si tratta – scrive in una nota Alberto Belotti - di qualche metro di tessuto di lino o canapa, ancorché trattato con colle naturali e mestica: come prevedeva la preparazione delle tele destinate alla pittura, nei secoli passati, perché resistessero al tempo. Si aggiunga che il dipinto proveniva dalla chiesa precedente. E, per adattarlo alle più ampie cornici proporzionate al nuovo edificio, gli si applicò una fascia di tela attorno, a forza di ago e filo. Ebbene, dopo tanti anni di onorato servizio, ora le condizioni di salute del dipinto sono precarie. Ha sofferto delle variazioni di temperatura, dell’umidità, vi si sono depositati strati di polvere, il fumo delle candele l’ha annerito, il telaio di legno mostra cedimenti, la tela, fissata con i chiodi, si è allentata, le vernici ossidate, gli insetti lo hanno abitato. Nei quasi tre secoli di vita ha svolto, con molta dignità, il ruolo di pala dell’altare maggiore (pala è termine che indica un dipinto collegato a un altare), col compito di illustrare l’intera vicenda spirituale della comunità religiosa vallaltese, che si è affidata nei secoli ai patroni raffigurati. Ora, esce purtroppo da un momento di dimenticanza, di sottovalutazione; complici anche gli studiosi che lo ritenevano di pennello mediocre, privilegiando altri due dipinti in loco, il San Rocco del Salmeggia e la Pentecoste del Cavagna. Perché la storia dell’arte risente, anche lei, del gusto e delle mode. Complice, ancora, la complessità del dipinto, e la sapienza del riconoscere i santi, che non è più coltivata fra i fedeli. Per la pala dell’Assunta e di San Giacomo è pronto, quindi, un posto in una “clinica specializzata”, dove sarà sottoposta, dapprima, alle analisi necessarie, e poi, a tutte le cure del caso. Il laboratorio è quello delle restauratrici Marzia Daina e Donatella Borsotti di Bergamo, che hanno già predisposto un programma dettagliato d’intervento. L’intera operazione sarà seguita, con attenzione, da un direttore della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Brera, al fine di adottare le più aggiornate e meno invasive tecniche di restauro, e il criterio del rispetto dell’opera originale. Dopo questa degenza, fra qualche mese il dipinto tornerà a casa. E ci sarà motivo di rallegrarsi per i suoi colori recuperati, lucenti e brillanti, molto vicini a quelli che gli appartenevano nel momento in cui uscì dalla bottega del pittore, appunto 270 anni fa. Non si tenterà di aggiungere colore, ma di recuperare i colori perduti, sottostanti, che oggi, a fatica, cerchiamo di immaginare. Qualche appunto, poi, sull’artista. Generalmente, trattandosi di un dipinto, l’artista è subito collegato al titolo: l’Ultima cena di Leonardo; l’Annunciazione del Beato Angelico, il Giudizio universale di Michelangelo. E così via. Purtroppo, a Vall’Alta, è assente una tradizione che abbia portato quel nome fino a noi. La ricerca dell’artista fa parte anch’essa del progetto che la comunità ha deciso di avviare. Progetto che, all’intervento di conservazione della tela, affianca il tentativo di decifrare il quadro, per ricostruire l’ambiente in cui è nato, riconoscere i personaggi raffigurati, individuare eventualmente chi lo ha donato. A questo progetto di ricerca, partecipano appassionati e studiosi, vallaltesi e non, che prestano volontariamente la loro collaborazione. A tal fine sono già state avviate ricerche nell’archivio parrocchiale, in quello della Curia e in altri archivi bergamaschi. Può darsi che sotto quella patina scura si celi la soluzione di uno degli enigmi che il dipinto porta con sé. L’artista avrà lasciato la sua firma sul dipinto? Sarà il restauro a rivelarlo. Qualora la firma, però, non apparisse durante il restauro, non ci sarà motivo di preoccuparsi. Gli storici hanno già in serbo una sorpresa. Il nome dell’artista lo hanno comunque individuato, sicuri al 99%. Sulla base del principio che ogni pittore ha caratteristiche proprie, differenti da qualsiasi altro. Esattamente come la nostra scrittura a mano si può riconoscere, anche se la firma non c’è. Il quadro però riserva un altro rebus, assai più difficile da sciogliere. Di mezzo ci sono due personaggi misteriosi ed enigmatici, che fanno capolino, uno all’estrema destra, l’altro all’estrema sinistra del quadro, quasi rischiando di cader fuori. Che ci fanno lì, quei due, accanto alla Trinità, alla Madonna Assunta, a San Giacomo e agli altri santi? Sono la chiave per ricostruire la storia del dipinto. L’attenzione dei detectives di turno è tutta concentrata su di loro. Indagati come colpevoli. In senso buono, s’intende. “Attenti, però. Questa iniziativa sarebbe monca senza il coinvolgimento dell’intera comunità” – si legge ancora nella nota di Alberto Belotti. Ecco, allora, che a livello locale, per seguire da vicino l’iniziativa, è stato creato un gruppo di lavoro, composto dal parroco, don Daniele Belotti, dal coordinatore Elio Capelli e da alcuni studiosi e appassionati di storia locale, come Marco e Piero Nodari, Giampiero Tiraboschi, Franco Innocenti e lo stesso Alberto Belotti. Il gruppo ha messo in cantiere una raccolta di fondi e avviato ricerche intorno alla storia del dipinto e alla sua origine, con l’obiettivo, fra l’altro, di attribuire proprio un nome al suo autore e ai due committenti che appaiono nella tela. Francesca Birolini |