A quarantanni dal ‘68 |
Un periodo che si presta a molte interpretazioni politiche ma ha cambiato il nostro modo di vivere. Un breve sunto di di quanto ha portato il '68 nel nostro territorio visto da due protagonisti, uno sul fronte opposto all'altro Mi sarebbe piaciuto ricordare i quarant’anni del ’68 ad Albino con una piccola mostra. Si trattava di esporre in biblioteca una decina di pannelli dove illustrare in modo semplice e senza pretese l’esperienza di quegli anni. Ho fatto richiesta all’Amminisrìtrazione Comunale, ma la risposta del sindaco è stata: “Chi ha vissuto le vicende del ’68 ha sicuramente ancora vivo il ricordo di slogan quali “L’immaginazione al potere” “Tutto subito” e “Vietato vietare” urlati nei cortei. Il ’68 richiama alla mente un periodo che ha sicuramente segnato una svolta e non solo perché si sono diffusi nuovi fenomeni di costume ma per il modo di intendere la partecipazione politica. E’ stato un momento importante e complesso che si presta ancora ad interpretazioni di carattere politico. La Biblioteca Comunale è un luogo che mal si presta ad ospitare la mostra fotografica proposta e per questo sono costretto a riservare ad altra iniziativa la collaborazione comunale.” Volevo solo ripercorrere quegli anni partendo dall’esperienza del “Comune dei Giovani”, nato all’interno dell’oratorio maschile nel 1965. Così com’era organizzato entra presto in crisi e si decide di dargli una svolta ammettendo al suo interno anche le ragazze che fino ad allora erano escluse !!! e poi cominciando ad affrontare le tematiche che in quel periodo si facevano pressanti: la scuola, il lavoro, i temi della pace e soprattutto quelli della fame e del sottosviluppo. Nasce così come parte del Comune dei Giovani il gruppo “Terzo Mondo” che lavorerà in modo intenso per ben trent’anni, coinvolgendo direttamente 150 famiglie che tasseranno mensilmente il proprio bilancio a favore dei paesi più poveri. Con il Gruppo Terzo Mondo abbiamo avuto la possibilità di incontrare e ascoltare testimoni autorevoli: don Helder Camara, Lelio Basso, Padre Balducci, Ettore Masina, Padre Vivarelli, Frei Betto, Arturo Paoli, profughi cileni, brasiliani, uruguaiani, palestinesi. Abbiamo sostenuto iniziative in Burundi, Angola, Mozambico, Palestina, Brasile, Nicaragua… Abbiamo avuto modo di approfondire e prendere coscienza delle nostre responsabilità verso i paesi poveri, derubati delle loro ricchezze e della loro libertà. Nel 1974 nasce il “Gruppo Informazione” che si occupa direttamente dei problemi legati al nostro paese. Con i suoi numeri unici che escono regolarmente per ben 16 anni vuole informare e coinvolgere la popolazione sui temi dell’ambiente, del territorio, dell’urbanistica, su argomenti legati alla scuola, ai servizi sociali… Negli anni promuove raccolta di firme, petizioni, allestisce mostre.. Approfondisce in modo competente e sistematico soprattutto i temi legati ai piani regolatori perché è la salvaguardia e la gestione del territorio il punto qualificante di chi amministra. Frutto del suo lavoro sono: l’apertura dell’asilo nido (costruito e tenuto chiuso per due anni), l’istituzione della prima scuola materna statale, l’istituzione dell’isola pedonale in via Mazzini, la salvaguardia di alcune importanti aree verdi. Alcuni componenti del gruppo si impegneranno direttamente come consiglieri di minoranza entrando come indipendenti nelle liste del P.S.I. e del P.C.I. Ad un certo punto collaborerà con il Gruppo Informazione il gruppo GEA, che prima di allora si era battuto positivamente perché i disabili venissero inseriti a pieno titolo nella vita sociale. In quegli anni nasce anche il “Gruppo Donne” che faticosamente ma tenacemente premerà per l’apertura del consultorio familiare e cercherà di stimolare perché al suo interno vengano affrontate le problematiche legate alla sessualità, alla vita di coppia, alla procreazione, alla maternità. Via, via nasceranno altri gruppi, il Gruppo K sulle tossicodipendenze, il Gruppo Assistenza Anziani…. Qui ho voluto sinteticamente riassumere quello che avrei voluto illustrare nella mostra. A questo punto che dire: dieci anni fa avevo scritto su Microfono Aperto: “Buon compleanno”. Il ‘68 compie trent’anni, chi lo ricorda? Io!!! Che nel ’68 avevo vent’anni e tanta voglia di nuovo, di giusto, di fresco. Per la mia generazione è stata la scoperta della politica, non come cosa sporca, ma come qualcosa di nostro, che ci tocca, che esprimiamo ed esercitiamo nonostante tutto. La scoperta dell’impegno non come dovere, ma come creatività, la voglia di partecipare di esserci. Il senso del bene comune che va rispettato da tutti e si divide con tutti. Tutte queste cose sono state portate alla ribalta come un’ondata di acqua fresca. Quanto entusiasmo, quante illusioni, sembrava che tutto dovesse cambiare: uguali diritti per tutti, non più differenze, attenzione ai più deboli. Troppo per essere vero? Tante cose sono cambiate, noi siamo cambiati, i vent’anni sono passati e abbiamo dovuto fare i conti con la realtà. Certamente! Ma per me quella del ’68 è stata un’esperienza positiva che mi piacerebbe tanto che anche i miei figli potessero fare. E ancora adesso dopo trent’anni trovo nelle persone che hanno vissuto quel periodo tanta carica ideale e ancora voglia di impegno. Per tutto questo io dico: grazie ’68. E dopo quarant’anni? Anche se la fiducia verso i rappresentanti delle istituzioni viene meno, la delusione si fa cocente perché molti dei diritti conquistati rischiano di perdersi, l’amarezza per le amicizie che si sfaldano ti fa soffrire, continuo ad essere convinta che è stato un privilegio vivere il ’68 perché la passione non si spegne. Per questo dico ancora grazie ’68. Rosalma Stancheris BOX Ripensando al '68: uno dei ricordi più belli della mia vita Voglio confrontarmi su un argomento che è diventato motivo di celebrazioni: il '68, definito il terzo risorgimento, idealizzato e incensato in occasione della ricorrenza del 40° anniversario. Io, quel periodo, l'ho vissuto e vi ho partecipato. Scegliendo, però, di svolgere il mio servizio nell'Arma dei Carabinieri in qualità di C.re Effettivo presso il 1° Btg. a Moncalieri (To). Qualche mese prima avevo lasciato gli studi in un Seminario, anche lì i precettori, così venivano chiamati gli insegnanti, erano in parte influenzati da questo clima sessantottino, iniziando così un certo declino dei Seminari. Fuori, molti giovani, opportunamente indirizzati dai capi - popolo, si unirono al branco, ritenendo di abbattere il sistema con l'illusione di ricostruirne uno migliore. Si invocavano i diritti, le pretese, le richieste, nessuno parlava dei doveri. Io, come altri, decidemmo di difendere lo Stato e le sue Istituzioni. Noi Carabinieri del Battaglione, con lo scudetto del carro armato, venivamo chiamati “cattivi”, “fascisti”, “nazisti” e “biechi esecutori di ordini”. I servizi di ordine pubblico erano quotidiani e gli uomini del 1° Btg. venivano impiegati anche in altre città: Milano, Mestre, Genova, etc., affrontando orari continuati, stanchezza, disagi, pericolo e pranzando a pane e mortadella. Eravamo al comando di ufficiali, vecchi Marescialli e Brigadieri che dispensavano la loro preziosa esperienza. Quando arrivavamo nelle piazze, venivamo accolti al grido di: “Camerata basco nero, il tuo posto è il cimitero!”, SS, Servi dei padroni e poi insulti e minacce che spesse volte si concretizzavano con atti di violenza fisica. La nostra presenza riusciva spesso se non ad impedire almeno a limitare il dilagare di atti delittuosi. In quel periodo, molti appartenenti alle Forze dell'Ordine furono uccisi o feriti, solo perché facevano il loro dovere o perché indossavano una divisa che ingenerava odio perché si difendevano i principi della Democrazia e della Civile Convivenza. Terminato il mio periodo di ferma volontaria, ho intrapreso la mia strada professionale nel mondo civile, incontrando, come tanti altri, le difficoltà e i problemi del lavoro. Poi, mi sono accorto, nel corso degli anni, che numerosi personaggi, i contestatori, i rivoluzionari, i sessantottini, si sono inseriti, per meriti politici, in settori prestigiosi della società. Ma non ho invidia, provo un sentimento di disgusto per questa come per tante altre ingiustizie. Quel breve ma significativo periodo della mia vita ha lasciato in me un sincero attaccamento e una profonda ammirazione per i Carabinieri. Aver prestato servizio nell'Arma mi rende fiero e anche nella vita civile, in molte situazioni difficili, ho agito pensando di avere gli alamari intorno al collo, perciò comportandomi con onestà e dignità. Bonaita Giovanni, ANC di Albino |